Regia di Emma Dante vedi scheda film
La sfida inizia per caso. All’improvviso ti trovi a dover tener duro, ad ogni costo, e non sai nemmeno tu perché, se per testardaggine, o per disperazione. Soprattutto ignori se a volerlo siano gli eventi, la gente, il destino, oppure una parte sconosciuta di te. In un vicolo della periferia di Palermo – una viuzza stretta tra le case basse ed immersa nel degrado – due donne di fronteggiano in un assurdo duello. Sono sedute una di fronte all’altra, a bordo delle rispettive auto, piazzate muso contro muso al centro della strada, ognuna fermamente intenzionata a restare ferma, a non cedere, a non fare retromarcia. La gara di resistenza pare sia stata da innescata da una questione di principio, venuta chissà da dove, forse attentamente partorita dalla coscienza, o forse creata lì per lì, sotto la spinta di un viscerale moto d’orgoglio. Le due avversarie non potrebbero essere più diverse: una giovane, una anziana, una emancipata, una tenuta prigioniera dai legami di sangue. Uguale è solo la loro tenacia, messa in atto senza far rumore, con una impassibilità che, oltre alle emozioni, nasconde anche le ragioni, gli obiettivi, i pensieri, collocando quella immobile battaglia nella dimensione dell’irrazionalità più spinta ed indecifrabile. Non una parola di spiegazione esce da quelle bocche, chiuse in un’espressione di piccata determinazione. Emma Dante, nel film da lei scritto, diretto ed interpretato, ritrae una realtà esteriore – quella della Palermo popolare - pulsante di un mistero che rimane gelosamente custodito nel cuore di chi sa e tace, chi apparentemente subisce, ma nei fatti si ribella, esercitando un dominio di sé talmente implicito e composto da lasciare agli altri l’illusione di essere i veri padroni dei giochi. Samira non molla, ma non per obbedire al suocero. E Rosa, dal canto suo, va avanti a dispetto delle esortazioni di Clara, la sua compagna, sulla quale evidentemente aspira a mantenere il controllo. Non fare nulla è una dimostrazione di forza: lo è, inaspettatamente, anche nell’universo del gentil sesso, dove, di solito, è un grintoso attivismo a costituire l’arma vincente. La resistenza delle due contendenti si può magari vedere come una evoluzione di quella dote tipicamente femminile che è la pazienza, esercitata in maniera silenziosa, ma mai imparentata con la remissività. Quella virtù evade, per una volta, dalle pareti domestiche, e smette di essere utilizzata come strumento di autodifesa rispetto all’arroganza e all’indifferenza degli uomini di casa, per diventare un tratto caratteriale applicabile in ogni situazione, con persone estranee e con finalità avulse dal contesto familiare. Mantenere la propria posizione diviene allora la manifestazione di un profondo senso della libertà individuale. È come se il femminismo avesse abbandonato l’agone politico, disertato le piazze di una società ancora ostile, per andarsi ad annidare nelle pieghe dell’anima, dove può corazzarsi di orgoglio e di senso morale. In mezzo alla colorita arretratezza di una Sicilia malandrina e patriarcale, due vittime guerriere combattono il comune nemico disputando, tra loro, un’eroica lotta per la dignità. Via Castellana Bandiera è il teatro di un’epica di quartiere, certo sovradimensionata rispetto all’ambiente e le effettive circostanze, eppure perfettamente calibrata sulla portata etica del messaggio da diffondere: non siamo qui per recitare il nostro ruolo, né per dare inutilmente spettacolo, ma solo per mostrare, anche a noi stesse, chi davvero siamo.
Da dietro i quattro capelli bianchi che le svolazzano al vento, la donna osserva le formiche sulla spiaggia e segue il loro andirivieni con perversa attenzione: si direbbe che il suo piano sia quello di volerle schiacciare. Ma non un gesto, non un passo tradiscono la sua espressione. È vuota. Come una vecchia barca di legno tirata a secco, bruciata dal sole e dimenticata dal mare …”
(cit. dall’omonimo romanzo di Emma Dante, Ed. Rizzoli, 2011)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta