Regia di Emma Dante vedi scheda film
Una serpentina di strade polverose e strette, circondate da una favelas di cemento e abusivismo che solo un'aspra parete rocciosa che domina la periferia palermitana riesce a tenere a bada; due macchine procedono in direzione opposta ed il caso vuole che si incrocino proprio nel punto più stretto di una squallida strada dal nome appunto di Via Castellana Bandiera, dove pure alcuni numeri civici sono tarocchi, e dove un filo di nylon colorato di rosso ed una transenna barcollante segnalano distrattamente e quasi per inciso, l'interruzione improvvisa del percorso, cui fa seguito un profondo dirupo. Al volante dei mezzi due donne toste: una quarantenne tornata a palermo da Milano per partecipare ad una cerimonia, ma turbata da un rapporto sempre più difficoltoso ed ingestibile con la sua amante ben più giovane ed aperta; una ottantenne ancora più determinata ed impassibile, immigrata della "piana degli albanesi", divenuta italiana quando la defunta figlia sposò anni addietro un grossolano palermitano che poi l'ha tenuta a vivere con lui ed i suoi figli. Ora ritroviamo la vecchia come in perenne stato catatonico, forse per il dolore, atteggiamento che tuttavia non le impedisce atteggiamenti inflessibili e risoluti difficili da sopraffare. Nessuna delle due donne, incitate dai rispettivi accompagnatori che dividono gli abitacoli delle due autovetture, desidera demordere e rinunciare alla propria posizione e dunque "cedere la dritta" all'avversaria. E, come il Manzoni ci ha insegnato, atteggiamenti risoluti e ostinati per venire incontro ad orgoglio e caratterialità, finiscono per accendere la miccia della tragedia e della disgrazia, alimentate altresì dal battito insistente e quasi incitante delle anime eccentriche di coloro che abitano attorno a quella strada, disposti a tutto pur di scommettere su chi cederà per prima a quel duello senza precedenti.
L'esordio cinematografico di Emma Dante, autrice del romanzo omonimo e donna di teatro, è potente come lo sguardo di sfida che divide le due contendenti, occhio ceruleo quasi pallato dell'anziana contro quello circospetto scuro e determinato della tosta ed indomita quarantenne.
Potente e forte di scene madri che rimarranno impresse nella mente, come l'ormai celebre e "scandalosa" sfida ad orinare a gambe divaricate senza smuovere lo sguardo sull'avversaria, così come l'altra sfida costruita nel gettare oltre il muro il piatto di maccheroni che una vicina caritatevole accorre ad offrire ad entrambe le contendenti; per non parlare della scena iniziale in cui due mani rigose impastano pagnotte con acqua per darle in pasto ad una cagna che allatta i suoi cuccioli sopra una tomba, e così come poco dopo la veduta dell'anziana donna distesa in raccolta sulla tomba della figlia, mentre la macchina da presa sorvola l'area circondata di cani randagi che sembra veglino l'anima tormentata e senza pace della vecchia.
Un'esordio non comune, non certo nel cinema italino di oggi, e riscontrabile in poche altre occasioni tra le quali posso ricordare così a memoria "Le quattro stagioni" di Frammartino, o quello altrettanto dirompente de "Corpo celeste", col Cristo che frana nelle acque come per fuggire da un mondo irrecuoerabile e senza speranza, nel primo film di Alice Rohrwacher: due film guarda caso acclamati entrambi a Cannes alcuni anni orsono.
Premio veneziano ad Elena Cotta davvero appropriato per un film che disturba ed inquieta, che invoglia a scappare da una mediocrità e da un malaffare che ti avvogono come una malattia infettiva, e dalle quali ci si può salvare solo fuggendo, come suggerisce forse l'ultima estenuante ed infinita scena che vede tutto il rione apparentemente accorrere sul luogo del tragico epilogo, o forse allontanarsi per cercare scampo e salvezza.
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