Regia di Emma Dante vedi scheda film
Il film di Emma Dante è associabile al cinema italiano che non dispiace. Nell’arco di poco più di un anno le presenze dei registi Ciprì, Piazza e Grassadonia ed ora la Dante impongono l’attenzione non tanto sulla realtà siciliana ma su quello che autori provenienti dalla stessa regione usano tradurre in un senso più ampio partendo da riferimenti iconografici che tradizionalmente sono stati sfruttati nel raffigurare situazioni stanziali in letteratura, nel cinema, e anche peggio in televisione. Il film è un’impietosa e drammatica rappresentazione del quadro sociale nazionale, la casualità della vicenda simboleggia anche se contraddistinta da elementi caratteriali di quella terra, tutta l’incomunicabilità, la polverizzazione delle relazioni, l’impoverimento culturale, l’imbarbarimento dei comportamenti che affliggono il bel paese da sud a nord senza distinzione. In un sobborgo periferico di Palermo, due auto si fronteggiano in una stretta via e nessuno vuole cedere il passaggio all’altro. Una macchina è guidata da Samira, un’anziana abitante del quartiere che vive nel ricordo della figlia morta prematuramente, l’altra è condotta da Rosa insieme all’amata Clara, giovani moderne di ceto sociale più elevato rispetto agli abitanti del borgo. La visione della Dante è disincantata e priva di consolazione, in apparenza costruisce contrapposizioni fra i personaggi e fra gli eventi che si concatenano nella vicenda, in realtà si delinea un macroscopico e disarticolato paesaggio borderline che contiene al suo interno tutto e tutti. Rosa vede nello scontro con Samira il riacutizzarsi di un rapporto difficile e mai risolto con la propria madre, l’anziana immersa in un universo brutale e maschilista riannoda il filo esistenziale che la mette a confronto con una giovane quanto potrebbe essere la figlia, la violenza e il denaro elevati dagli abitanti locali a unici valori significativi di sussistenza che trasmettono un’irraggiungibile dignità, i sentimenti di affetto di un giovane nipote di Samira nei suoi confronti, e il tormento amoroso di Clara per Rosa si rivelano impotenti, solo ricchi d’angoscia e del tutto inesprimibili. Dove il film si rivela strutturalmente più debole rispetto ad una prima parte più interessante è nella ricerca di tenere saldamente equilibrate le due componenti che lo animano, ciò che sta dentro le auto con le donne che si studiano in un atteggiamento quasi da western, e lo scenario esterno dove i vari personaggi prendono un po’ troppo spazio denunciando qualche tendenza troppo caricaturale che riduce l’essenza che tanto bene è stata composta fra le donne in macchina e che cerca di riportare tutta la vicenda a una lettura più classica legata all’orgoglio isolano e ad altre ordinarie storture. Poiché la matrice della storia è autobiografica, (Emma Dante ha vissuto dieci anni in quella strada), le si può concedere questa rimozione psicanalitica delle origini, ma facendo leva sull’originalità e sull’uso di una sfrontatezza visiva intensa che ha dimostrato, e il bel finale lo testimonia, attendiamo un allargamento di orizzonti, una contaminazione fuori dai propri confini emotivi e dal proprio sradicamento.
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