Regia di Emma Dante vedi scheda film
<>. Coordinate da festival: ostentazione radicale di seriosità e realismo, insistiti sottotesti, un minimo di ambiguità. Non è vero, non tutti i film da festival sono così. Ma la Dante, proveniente dal microcosmo siciliano, è costretta ad aprirsi a un pubblico internazionale, e deve venirgli incontro, per recare in qualche modo una crescita interiore nello spettatore, siciliano e non. Il tentativo è nobile, il risultato è esile, troppo stretto, compresso in una sicilianità non folkloristica ma fin troppo ingombrante, che dopo gli innumerevoli film di Damiani prima e di Tornatore poi, sta diventando nella settima arte una terra leggendaria, origine di una recessione, sia in positivo (“Nuovo Cinema Paradiso”) che in negativo (“Il giorno della civetta”), ma comunque una recessione, che comporta (trasform)azioni sempre particolari e mai casualmente conseguenti alla discendenza dalla bella isola. Gli spettatori escono contenti dalla sala: quelli “fuori” dalla Sicilia apprezzano il tentativo di una nuova riflessione soleggiata sulla patria della mafia per eccellenza e godono della sottile soddisfazione di esserne lontani, quelli “dentro” che vanno a vedere il film (spesso intellettuali sempre pronti per la nuova sfornata dell’industria cinematografica italiana) possono dirsi divertiti di aver riconosciuto, almeno all’inizio della pellicola, alcune strade che le attrici protagoniste percorrono, osservate da una regia turbolenta e in cerca di pietas in uno stile forzatamente naturalistico. Il sole siciliano offre alla regista di raccontare una storia anomala, “on the road” per così dire, perché le macchine non percorrono chilometri, ma restano ferme una davanti all’altra nella stretta via Castellana Bandiera, e nessuna delle due è intenzionata a spostarsi. Ci vanno di mezzo confronti umani di vario genere (a dirla tutta assai macchiettistici), violenze, atteggiamenti omertosi, pietà assortite, intenzioni lucrose, mentre questa nuova versione del Lodovico manzoniano ritrae donne entrambe siciliane con variazioni etniche (il personaggio della Cotta è albanese, quello della Dante si è trasferito a Roma) che si lasceranno trasportare dall’ostinazione e si spingono fino alle estreme conseguenze. Eppure lo spazio c’è, perché la via Castellana Bandiera si è allargata, secondo i criteri di un simbolismo facile e insistito, che prevede anche che di notte e all’alba si dia spazio all’onirico. Gli stessi personaggi principali vivono schiavizzati da una storia con una o due trovate eccelse, ma risultano alla fin fine monodimensionali e influenzati da vari traumi passati abbastanza chiari (e la malata Sicilia è sempre di mezzo). Questo non permette al film di spiccare il volo, di fare più di tanto tesoro dell’unica sequenza davvero notevole, il finale, una corsa verso una terra spezzata e crollata in un burrone, in quello che è diventato il Viale Castellana Bandiera. C’è sincerità nel cinema italiano, ma in molti altri casi anche moderni si è riusciti a esprimerla meglio. Non c’è troppa sincerità nel cinema siciliano: in rari casi, quasi nessuno, si è riusciti a esprimerla bene. Parola di palermitano.
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