Regia di Emma Dante vedi scheda film
Esiste un lembo di terra nel mappamondo in cui ogni logica razionale va a farsi benedire. Quel luogo, che la natura ha reso magnifico grazie al verde delle montagne e all’azzurro del mare, si chiama Palermo, una città dove tutto è possibile. Dove è possibile che nella stessa via esistano due numeri civici identici senza che le autorità abbiano voce in capitolo; dove è possibile andare in spiaggia portando con sé un arsenale di tende, ombrelloni e cibi, come se non ci fosse un domani; dove è possibile stabilire regole di convivenza basate sulla legge del più forte o del più pazzo; dove è possibile che una stradina, che non lascia spazio nemmeno al respiro, sia teatro di un dramma che richiama i duelli per la conquista di un posto nel far west.
Via Castellana Bandiera, opera prima di Emma Dante, è prima di ogni cosa un omaggio a una città ostinata e caparbia, come le due protagoniste (silenziose) della storia. Rosa e Samira guidano ognuna la propria vettura, si portano dentro un’esistenza che non ha saputo regalare loro molto e sono nella loro solitudine circondate da qualcun altro: che con loro vi sia Clara, la compagna “frocia” di Rosa, o l’’intera famiglia Calafiore, di cui fa parte Samira seppure nella sua alienazione, poco importa.
Nei limiti imposti da una via in cui nemmeno l’aria sembra addentrarsi per non sporcarsi, le due iniziano un duello che prevede un unico vincitore: viva o morta che sia, avrà la meglio colei che non sposterà la sua macchina per lasciare il passaggio all’altra. Un passaggio che da questione di principio diventa sinonimo di cambiamento: la tradizione di chi vuol mantenere lo status quo deve necessariamente confrontarsi con l’arrivo di chi porta con sé una voglia di rivoluzione e di rimescolamento delle carte. Samira è ancorata al suo mondo, a una figlia morta, a un nipote che ama e a una famiglia acquisita che la considera un peso. Rosa è invece colei che ha con tutte le sue forze cambiato il suo universo di riferimento: è andata via da Palermo, ha una compagna e non è disposta ad accettare supinamente la volontà altrui. Per ognuna delle due cedere il passaggio all’altra rappresenta la sconfitta di un modus vivendi, l’arrendersi e il limare le proprie “corna dura”.
Non parlano molto le due protagoniste ma comunicano per i gesti e con il voltoo: Samira rimane del tutto silenziosa (a parte una fugace apparizione da un “altro mondo”, prima dell’epilogo) mentre le poche parole pronunciate da Rosa hanno ben poco di palermitano, hanno quasi perso le proprie origini e lasciato posto a un nuovo io, che reprime il vecchio e lo lascia sfogare solo con l’ostinazione di chi tenacemente vuole ottenere vittoria.
Alla fine della storia, nessuna delle due ha vinto. Paradossalmente la modernità è costretta giocoforza a far retromarcia a causa di una tradizione che il fato rende travolgente, anche fisicamente.
Stupisce Emma Dante, che della sua opera riesce ad essere regista, sceneggiatrice e interprete. Sconvolge il modo in cui ha saputo rendere per immagini un mondo che, da chi non lo conosce direttamente, può sembrare assurdo e tribale. Rende euforici l’accostamento che fa della sua storia con l’iconologia western (faccia a faccia tra le due contendenti, primissimi piani sugli occhi, vento che alza la polvere, tanta polvere), così come si apprezza la volontà di rendere teatrale due terzi del film con l’inserimento di una sorta di coro greco (il vicinato che entra nella disputa).
Grande plauso va a quello scricciolo di Elena Cotta, avvolta in un nero vestito che spegne e rende cupi i suoi occhi azzurri, regalando al personaggio quella malinconia di vivere che la rende morta sin dalla prima scena (messa in scena in maniera folgorante) al cimitero dei Rotoli.
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