Regia di John Carney vedi scheda film
Se oggi il cinema non ha (più) bisogno necessariamente dei teatri di posa e delle grandi cineprese per essere realizzato, visto che basta uscire in strada e, con una piccola camera digitale, fermare il momento, rubare frammenti di realtà e restituirli all’immortalità della settima arte, perché allora la musica non potrebbe fare lo stesso?
Ovvero liberarsi dell’ingombro, anche e soprattutto economico, dei grandi studi di registrazione e dell’attrezzatura tecnica specifica, dei pressanti, svilenti vincoli contrattuali, e realizzare praticamente -letteralmente- on the road una raccolta di pezzi in cui voce e strumenti si mescolano in maniera bizzarra, sicuramente unica, con i suoni della propria città.
Musica col cuore e contaminazioni metropolitane.
È ciò che intendono fare l’affiatata coppia di personaggi -outsiders rispetto al pensiero conforme omologante-, produttore e cantautrice squattrinati (un grande trascinante Mark Ruffalo e una sorprendente -e ben vestita- Keira Knightley) incontratisi in seguito a disastrose catastrofi personali e grazie all’aiuto di Dio che, pur non palesandosi spesso, arriva comunque sempre in tempo.
L’opera seconda di John Carney è un inno appassionato alla creatività -in questo caso musicale- nel momento in cui si sta creando.
L’arte, la vera arte, deve essere libera e mai tenuta imbrigliata e imbavagliata.
Deve seguire i moti dell’animo, l’ispirazione del momento e non rispondere all’andamento di un grafico cartesiano, sottostare a strategie di mercato, rispettare assurde scadenze e adeguarsi alle tendenze dell’ultima ora.
L’arte per l’arte e non per il profitto.
L’arte prima di tutto per se stessi. Cibo dell’anima e non per diventare ricchi e famosi, scalare le classifiche col pezzo che fa presa e che non esula dai canoni (ma chi li decide?) dell’alto gradimento per le masse.
L’arte senza compromessi, che per conservare la sua purezza e verità decide di seguire un binario parallelo alla vita di tutti i giorni.
Di non farsi professione ma di rimanere ardente passione.
L’artista deve avere pieno potere su ciò che ha creato. E se intorno a lui c’è qualcuno capace di guardare al di là di quello che gli altri (non)vedono e comprenderne il potenziale, riuscendo così a far germogliare quel grezzo ma prezioso bozzolo che ha concepito, allora questi avrà avuto fortuna e salvaguardato il suo lavoro da manipolazioni ‘improprie’, snaturanti e spersonalizzanti, ma dal successo garantito.
Il film di Carney è altresì un felice e commovente inno alla gioia della creazione, quella che fa palpitare, e al piacere -che non ha prezzo- di vedere il proprio progetto prendere forma. Di seguire il proprio istinto, di mettersi in gioco, di rischiare.
Di sentirsi vivi e sapersi per tutto il tempo autentici.
Ed è New York il teatro ideale per ‘ospitare’ le intrepide incursioni urbane di questo improbabile gruppo di musicisti all’attacco messo su dal nulla; solo New York e i suoi grattacieli, le strade, i vicoli, i parchi, la metro.
Solo Lei e la sua essenza, che negli ultimi anni è parsa un po’appannata.
Quello che da sempre rappresenta, John Carney ce lo ricorda splendidamente: la grande mela è un’occasione, un’opportunità, la possibilità che qualcosa di buono si realizzi, che la propria vita possa cambiare in meglio.
Guardando, ‘sentendo’ questo film delizioso, riusciamo a crederci davvero.
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