Regia di Henry Alex Rubin vedi scheda film
Sicuramente negli ultimi anni una tra le parole più citate negli usi comuni è “internet”, un universo che tramite l’utilizzo dei computer ha condizionato la vita di tanti essere umani (quasi il 100% dei giovani) e che come tale è divenuta risorsa per tanti, ma anche trappola per alcuni.
Tramite una storia corale, Henry Alex Rubin prova a rendere vivo il suo lato oscuro senza scordarsi che gli umani a volte sanno darsi una speranza.
Quattro storie si alternano sullo schermo e (flebilmente) si lambiscono.
Tutte e quattro sono vissute da problemi, alcune sono esposte visibilmente, altre sono pronte ad esplodere, in altri casi ancora si creano rapporti così distanti da non poter funzionare, perché gli obiettivi e le posizioni sono talmente distanti che anche la migliore delle predisposizioni trova ostacoli insormontabili.
E’ il nuovo mondo (baby) dove il più scaltro è pronto a fotterti, dove le apparenze ingannano e che nella vita reale si trasformano, nascondendosi sotto nomi di chi non centra nulla e rischia di divenire vittima sacrificale.
Quattro storie con il (non minimo) denominatore comune, la rete, che si inseguono con un certo (precostituito) ordine, che fanno palpitare e che regalano una serie di scontri, ma anche incontri.
Un piatto ricco, non solo perché le vicende sono molteplici, che non manca di farsi seguire, che regala sofferenze, ma anche improvvisi angoli di comprensione e speranza, il tutto è destinato ad un evidente climax comune.
Ed è proprio qui, sul finale, che il film vacilla, non c’è questa crescita fino in fondo, ad un certo punto appare quasi che ci sia un taglio.
Uno spiazzamento che ci può stare visto che si parla di internet, ma poi alla fine siamo sempre in ambito cinema e rimanendo fedeli al mezzo non vi è quella conclusione da grande impatto che un film dalle forti emozioni, e che le provoca anche con gran forza, non può non trovare.
Detto questo, la coralità è gestita con discreto mestiere ed il film ha i suoi (riusciti) momenti, ed anche i suoi interpreti (le donne, con Andrea Riseborough e Paula Patton raggiungono gli estremi più alti di convincimento partecipativo), per cui c’è di che vedere, ma lascia anche la sensazione che si potesse fare un ulteriore passo oltre.
Emotivo, ma non riuscitissimo.
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