Regia di Henry Alex Rubin vedi scheda film
Oltre ai carnivori ed i vegetariani, c'è una categoria di mezzo: coloro che mangiano solo animali che hanno ucciso con le proprie mani. Non so se esista un nome per chi segue questa prassi, io li chiamerei "carnivori coscienti" e ne farei volentieri parte se non abitassi nel centro di una metropoli (i "civich" mi hanno costretto a togliere la rete con cui catturavo i passerotti per farli in padella). Non si tratta di una bizzarra crudeltà ma semmai il contrario, accettare di mangiare un animale solo se si accetta la realtà della sua uccisione, che viene vissuta con il proprio corpo e quello dell'animale ucciso.
"Disconnect" non parla di alimentazione, è un film sulla comunicazione tra esseri umani, che non può passare solo tramite le parole sterilizzate dalla scrittura su uno schermo, ma deve passare attraverso il corpo in tutte le sue manifestazioni: bisogna toccare le persone, guardarle negli occhi, sentire il loro odore e udire il suono della voce. Se la comunicazione si sublima in caratteri digitati su un social network, diventa un moncherino.
A casa nostra basta leggere l'aggressività di chi commenta le notizie su ansa.it per capire che aggressività si scatena se non si vede in faccia l'altro. In "Disconnect" la comunicazione incorporea porta a crudeltà, persecuzione, ingenuità, tradimenti, sesso gelido di padri, figli, amici, sorelle, mariti. Ma nelle ultime sequenze del film il corpo finalmente ritorna e si manifesta ed esprime con la violenza: due padri di figli diversamente disperati se le danno di santa ragione e poi si tendono la mano, una ragazza sputa finalmente in faccia all'amica, due uomini quasi si sparano (ma almeno si guardano in faccia).
Bello, mi è piaciuto.
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