Regia di Henry Alex Rubin vedi scheda film
Con la vistosa eccezione di The Social Network (comunque un biopic, seppure atipico), il cinema sembra ancora refrattario alla rappresentazione della rete, delle sue insidie e delle nuove modalità di relazione cui ha dato vita. La materia è complessa, e il film di Rubin tenta la via del multitasking aprendo più “finestre” con una narrazione tripartita: la storia di un ragazzino vittima di “cyber bulli” si intreccia con quella di una coppia il cui conto in banca è prosciugato a causa di dati sensibili condivisi ingenuamente, mentre una giornalista tenta lo scoop rovistando nel torbido dei minorenni che si vendono via webcam. Montaggio concitato e caratteri sceneggiati sommariamente (l’adolescente solitario con la passione per i Sigur Rós e la mamma bisognosa di conforto in chat per la perdita tragica del suo bimbo escono dritti da un catalogo di “soggetti a rischio” del web) costruiscono un dramma corale efficace se non raffinato. La messa in scena delle comunicazioni virtuali resta una sfida difficile da vincere (per ovviare alla scarsa filmabilità dei computer, le frasi digitate compaiono in sovrimpressione), ma il gioco degli interpreti compensa la freddezza dell’oggetto (su tutti svetta Andrea Riseborough, donna in carriera la cui carne è debole). Peccato che la morale sia gridata e ribadita: il ralenti finale che fa culminare in violenza fisica i soprusi virtuali pare imprimere sullo schermo il messaggio a caratteri cubitali, come fosse un’altra conversazione online.
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