Regia di Henry Alex Rubin vedi scheda film
Storie parallele e convergenti di vari personaggi nella New York dei nostri giorni alle prese con le ricadute reali di una vita virtuale vissuta tra smarphone,tablet e PC nella costante e ambivalente connessione con una dimensione tanto fittizia quanto foriera di pericolose implicazioni. Una ambiziosa reporter locale alle prese con uno spregiudicato servizio sulle chat erotiche che sfruttano ragazzi giovanissimi finisce per apparire a sua volta come sfruttatrice; una coppia in crisi per la morte del figlio ancora piccolo (messa sul lastrico) rovinata da un grave problema di phishing; un teenager problematico spinto al suicidio dal cyberbullismo di due coetanei incoscienti...
Film corale fatto di episodi e personaggi che , in un modo o nell'altro, intrecciano le proprie vicende sullo sfondo di una contemporanea modernità in cui la dimensione virtuale di una permanente connessione ad internet finisce per inquinare e condizionare una vita reale in cui le relazioni sociali sembrano allentarsi e sfilacciarsi, sostituite e riflesse in una vita speculare che nasconde e confonde verità e inganni, paure e illusioni, speranze e smarrimenti fino al drammatico epilogo in cui ciascuno è chiamato a fare i conti con le imprevedibili (o forse no) conseguenze di una inesorabile distopia. Camera mobilissima, a sottolineare un taglio documentaristico che trasmetta il realistico smarrimento di regista e spettatore di fronte ad una dimensione quotidiana di sorprendente prossimità, il giovane Rubin si cimenta in un'operazione complicata e furbetta, ma perfettamente riuscita, in cui convergono, come in un saggio accademico di sociologia applicata, tutti i quesiti che investono il moderno rapporto con i mezzi di comunicazione (dalla mistificazione dei rapporti reali alla pervasiva intrusività nelle relazioni sociali) per arrivare ad una conclusione che, salvo un finale di romanzato buonismo (quasi nessuno sembra farsi male), ridimensiona ciascuna conseguenza nel naturale e irrevocabile contesto della vita reale, vero e unico antidoto alle pericolose insidie della virtualità. Così la moglie riabbraccia il marito, un vedovo il suo unico figlio, un padre la sua famiglia e una donna (forse con maggiore consapevolezza etica) il proprio lavoro, rirpistinando una vicinanza umana e sociale che dia la misura di errori e disfunzioni, in una (questa sì) interessante ed originale dialettica tra perdono (come fatto individuale e intimo diceva Derrida) e desiderio di vendetta, laddove prevalga il riscatto conciliatorio del primo sulle irrimmediabili conseguenze di quest'ultimo.
Cinema che rivela, oltre alle convenzionali confezioni mainstream, una sorprendente capacità di lettura e ri-scrittura della realtà da parte delle produzioni autoriali d'oltreoceano giustamente attenzionate dai festival internazionali (Toronto e Venezia) ma forse non sufficientemente valorizzate (nessun premio). Drammatiche ricadute della virtualità.
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