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Les mouvements du bassin

Regia di Hervé P. Gustave vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Les mouvements du bassin

di alan smithee
6 stelle

Un regista che si firma con l’acronimo HDP (che sta per Harvé P. Gustave) è già un piccolo, flebile ma non insignificante indizio di originalità. Un film che stordisce per immagini, sensazioni, follia ed ossessione contagiosa che contraddistingue in modi differenti ogni individuo che interviene nella scomposta vicenda che traina due solitudini dolorose, convergenti quasi alla fine in un drammatico scontro (nel vero senso della parola) dagli esiti fatali.
Un mondo di solitudini dicevo, e il tentativo affannoso di uscir fuori dall’isolamento a cui oggi sempre più ci condanna una società facilmente accessibile, ma fredda e per nulla disinteressata quando ti mostra le sue attenzioni.
Hervé, un ex guardiano di zoo licenziato perché il suo atteggiamento taciturno e bizzarro risulta deprimente per gli animali ospiti del complesso, si trova costretto ad accettare l'impiego come guardiano di un grande fabbricato industriale, in realtà mezzo vuoto: intanto  vive isolato in un asettico appartamento ammobiliato, soppesando ricordi, tornando furtivamente a trovare i suoi animali, mentre gli tornano alla mente come flash-back sempre piu' frequenti ed improvvisi i momenti più concitati dell’esperienza formativa provati in occasione di un corso di lotta libera ed autodifesa.
La seconda storia ha come epicentro una bella donna, Marion, che desidera ardentemente un figlio, ma non trova l’uomo giusto che voglia accontentarla limitandosi a procreare e poi sparire come un fuco con la sua ape regina; per questo si lascia persuadere da una infermiera, infatuatasi della donna, e che lavora in una laboratorio di analisi, a farsi ingravidare artificialmente da lei in laboratorio, dopo aver sottratto il materiale riproduttivo con un piano ingegnoso costruito nei minimi dettagli.
Urticante, spigoloso al limite del deprimente, il film è comunque a suo modo riuscitissimo se il suo intento è quello di suscitare panico e sconcerto in chi lo affronta.
E la sceneggiatura, che inizialmente si prende i suoi tempi tergiversando sulla follia irrecuperabile di Hervé e sulle ossessioni senza rimedio di Marion, e' anche l’occasione più efficace per introdurci personaggi minori al limite dell'inverosimile, per incrociare destini, vite e solitudini che sembrano assurde, ma in realtà sono più vere e verosimili di quanto non si creda.
Riprese ossessive di corridoi nudi ed oscuri dove il solitario guardiano si muove come un automa mimando le azioni di difesa apprese al corso, vita di famiglia desiderata e così difficile da realizzare con corpi immacolati di bambini che piovono dal cielo a sfiorare il volto di una mamma che non desidera altro nella vita.
Complicità difficili da accettare ma che sono l’unico rimedio per riuscire a combattere con successo i molti imprevisti di una vita gelida che dà poche speranza e offre molte occasioni di solitudine. Un cinema talvolta estremo che ricorda il folgorante indimenticato esordio di Rolf De Herr col suo eccessivo, spiazzante e magnifico Bad Boy Bubby, senza avere tuttavia la forza di giungere alle conseguenze estreme e apocalittiche di quest’ultimo.
Eric Cantona appare finalmente in un ruolo un po’ interessante e fuori dagli schemi, seppur di controno, del capo guardiano che gestisce e sfrutta clandestinamente ma in modo molto manageriale lo spazio immenso del capannone semi-deserto per “vendere” le giunoniche grazie della propria compagna transessuale all’interno di un camper stile barbie. Al suo interno, per alcuni minuti di intimità, una umanità disperata e allo sbando si compra attimi di paradiso plastificato e colorato che possano, almeno per qualche istante, allontarli dal gelido abbraccio del vuoto e della solitudine che regna al di fuori, in un mondo dove l'umanità è ormai estinta ed esistono solo i bei ricordi e i vani progetti per cercare di realizzare quello che un tempo era il normale vivere quotidiano.

 
 

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