Regia di Hélier Cisterne vedi scheda film
Il vandalismo è una questione di punti di vista. Agli occhi di alcuni, i suoi gesti possono avere anche una componente fantastica, poetica, eroica, le cui indistinte gradazioni si perdono nella dimensione del mistero. Accade quando la distruzione messa in atto non tocca l’integrità fisica della cose, ma solo quella, puramente ipotetica, della loro comune apparenza; accade quando ad essere sfregiato è solo il volto noioso di una normalità che merita di essere appassionatamente ripensata. Le incursioni dei writer sono attentati al grigiore di un ordine che, così, viene messo in discussione in maniera forse ingenua ed inefficace, ma, come si dice, da qualche parte bisogna pure cominciare. Per il giovane Chérif, immigrato maghrebino di seconda generazione, la città è uno straniante miscuglio di tentazioni: la separazione dei genitori favorisce la sua tendenza ad evadere dalle regole, per cercare in quella giungla un territorio da esplorare in libertà, prima con la piccola delinquenza, poi, in seguito al trasferimento presso gli zii, con l’adesione ad una banda, l’inseguimento di un sogno proibito, ed una battaglia combattuta a colpi di bomboletta spray. Mentre la costruzione del futuro procede incerta – con la prospettiva poco convincente di un posto da muratore – l’inquietudine del presente riesce a tramutarsi in qualcosa di più interessante e credibile: le fughe notturne di gruppo, alla ricerca di una parete da imbrattare, sembrano offrire una reale via di scampo all’anonimato, alla precarietà di chi vive senza punti di riferimento, diviso tra due case, due culture, tra l’orgoglio della diversità e la voglia di omologazione. Uno stile grafico ed un nome d’arte possono fungere da ottimi surrogati ad un’identità mai conquistata, forse neppure intravista, almeno non nella comune esistenza vissuta alla luce del sole. Inventarsi una firma, diventare uno Snark, come la strana creatura dell’omonimo poemetto grottesco di Lewis Carroll, è il primo passo per essere qualcuno, secondo una scelta autonoma e spontanea, indipendente dalla volontà altrui, e ribelle ad ogni tentativo di inquadramento psicologico e sociale. Chérif non intende essere rieducato, ma solo messo in condizione di esprimersi, mostrando – sia pur nell’ombra, e a pochi amici fidati – quel suo volto sconosciuto ai più, che cerca conferme non nell’approvazione derivante dall’obbedienza, bensì nella gratificazione individuale conquistata avventurosamente sul campo. Questo film non sarebbe dissimile da tante altre opere contemporanee, ispirate al disagio giovanile nell’Europa delle periferie degradate, delle famiglie allargate, delle comunità multietniche, se non fosse per quella sottile e discreta allusione al mito come strumento di riscatto morale, come spazio genuinamente creativo, come magico orizzonte di speranza. L’arte, nell’immaginazione di un adolescente, pur cavalcando le mode del momento e pur prestandosi a servire da marchio ai vari movimenti alternativi, può conservare quella alchemica evanescenza che si oppone, in segreto, all’umiliante violenza dell’omologazione. Chérif è bravo a disegnare e sa fare giochi di prestigio. Gli piace stare sdraiato a guardare il soffitto tempestato di stelle. La realtà, per quanto sia cruda e banale, può sfumare, nel buio, scomparire, decomporsi, e poi miracolosamente riemergere, rinnovata e reinserita nell’armonia universale. Come in un cartone animato, le forme cambiano, si lasciano addolcire e stilizzare, e resistono morbidamente ad ogni aggressione. Anche Vandal esce di scena, per poi rientrare, più forte di prima. Con una faccia mai vista, ma con l’anima indomabile di sempre.
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