Regia di Richard Ayoade vedi scheda film
La messa in scena grottesca e stilizzata alla Brazil, i colori fluo contrastati, l'illuminazione low-key sparata direttamente in faccia agli attori, specchi e riflessi piazzati dovunque, la recitazione caricata: l'insieme delle scelte di regia vanno a confondersi in una overdose stilistica che, lungi dal riuscire a creare il ricercato mood ambiguo e surreale in grado di rafforzare la tematica del doppio dostojevskiano, riesce solo a indurre un involontario - e deleterio - effetto straniante. Come non bastasse, contrariamente ai classici sul doppio, da Persona a Fight Club, qui le sorprese mancano, e lo script, di Avi Korine, riesce ad aggiungere ben poco a quanto sinteticamente già contenuto nel titolo - se non qualche ruminazione esistenziale che sembra strizzare malamente l'occhio al cinema del fratello Harmony, qui in veste di produttore associato.
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