Espandi menu
cerca
Compliance

Regia di Craig Zobel vedi scheda film

Recensioni

L'autore

mck

mck

Iscritto dal 15 agosto 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 206
  • Post 137
  • Recensioni 1146
  • Playlist 323
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Compliance

di mck
7 stelle

UnBelievable.

 

 

Compliance (medicina + psicologia): (in)consapevole acquiescenza sottomessa alla (presunta) autorità (medica, militare, politica, scolastica, familiare) che agisce “a norma di legge”.

Ripensando al cartello iniziale sovrimpresso a caratteri cubitali “INSPIRED BY TRUE EVENTS”, operazione dicotomica ma parallela rispetto a quella operata da “Fargo” (film e serie), l'unica reazione possibile è quella di recarsi immantinentemente, precipitevolissimevolmente e subitaneamente ad “iscriversi ai terroristi”.

 


Attenzione, percezione, comprensione: “...descrivendoti esattamente e dicendomi il tuo nome...”.

Per la sua opera terza il regista Craig Zobel (“Great World of Sound”, “Z for Zachariah”, “the Hunt”) scrive la sua sceneggiatura basandosi sulla storia della “Strip Search Phone Call Scam”, che a sua volta richiama alla memoria quella di “PrankNet” e, soprattutto, gli esperimenti Milgram (Yale, 1961), Hofling (1966), Stanford (Philip Zimbardo, 1971) e quello più home-made m'altrettanto rilevante di Palo Alto (Ron Jones, 1967), alcuni dei quali ricevettero a loro volta, nel corso degli anni recenti, varie trasposizioni cinematografiche più o meno riuscite ed importanti: il Milgram con “Authority”, il 17° episodio della 9ª stagione di “Law & Order - Special Victims Unit”, con Robin Williams come guest star antagonista, la “Terza Onda” di Jones con “die Welle” di Dennis Gansel e il più famoso, lo Stanford di Zimbardo, con “das Experiment” di Oliver Hirschbiegel e col tautologicamente omonimo docudrama “the Stanford Prison Experiment” di K.P. Alvarez.

 


Dal punto di vista ginoide (ché da quello androide il limite è stato valicato con abbrivio infinito dopo le prime interazioni inscenando una variante di shoplyfter in piena regola) un passaggio fondamentale - se non la svolta, il giro di boa, il punto di non ritorno - avviene allo scoccare dell'ora, quando la responsabile del fast-food entra nella stanza di detenzione, prende il cordless dal compagno e, a causa della gran mole di lavoro in cucina e in sala, sembra far schioccare le redini della situazione, parlando rudemente alla ragazza e assumendo un tono di voce perentorio anche col poliziotto all’altro capo del filo/onda, senza notare [o autoingannandosi mettendo in moto ed azione un Test di Attenzione/(In)Attendibilità Selettiva in modalità Cecità Inintenzionale/Disattenta, ovvero, ad esempio, ad accompagnare gli esperimenti sopracitati, il Gorilla Invisibile della Monkey Business Illusion di C.F.Chabris e D.J.Simons, candidati per questo all’IgNobel Prize] la violenza appena perpetrata e subita e ancora in atto.

 

- - - Oida: guardare, senza vedere: il gorilla invisibile agisce indisturbato nel circuito chiuso... - - - 


L’unità di tempo e luogo è interrotta principalmente, verso la fine (prima del finale “procedural-mediatico” vero e proprio), da una splendida e significativa scena girata in piano sequenza per mezzo di un camera-(door)car, con tanto di movimenti a 45°/90° a seguire l’apertura e la chiusura della portiera del lato guidatore, con le vibrazioni e gli urti dell’azione mitigati e/ma accentuati dagli stabilizzatori elettronici e/o meccanico-idraulici: 500 metri (non di pellicola: di strada), meno di mezzo miglio, forse nemmeno in linea d’aria ma considerando svolte e curve, a separare la vicina stazione di polizia dal luogo del delitto: mezzo chilometro, nemmeno 900 iarde o 2600 piedi: rende bene l'idea del livello di “lavaggio del cervello” raggiunto dal fingentesi poliziotto Godot nel Deserto dei Tartari al centro degli U.S.A. (ma potrebbe essere la Pianura Padana).

 


L’empatia si gioca sul corpo di Dreama Walker (una comparsata in "Gran Torino" (la nipote di Clint), alcuni episodi di “the Good Wife”, il ruolo principale in “Don't Trust the B---- in Apartment 23” e Connie Stevens in “Once UpOn a Time in... HollyWood”) e i volti di Ann Dowd (“the HandMaid's Tale”) e Bill Camp (“the Night Of”), mentre Pat Healy (“Rescue Dawn”, “Velvet Buzzsaw”), nel ruolo dell’avversario, risulta più sacrificato, anche se senz’altro in alcuni passaggi oltremodo funzionale, e James McCaffrey (“Rescue Me”) ha poche scene, tra le quali però il long-take succitato. Chiudono il cast: Philip Ettinger, Ashlie Atkinson, Nikiya Mathis (i colleghi delle 2 protagoniste) e Stephen Payne (Harold).

 

 
Fotografia calda e fredda senza eccessi fuori luogo di Adam Stone, montaggio significante (anche troppo, si consideri la nota sottostante) di Jane Rizzo (“Great World of Sound”, “Ain't Them Bodies Saints”, “Z for Zachariah”, “Maggie”, “Leave No Trace”, “Dickinson”, “the Hunt”) e belle musiche di Heather McIntosh (“HoneyMoon”, “Z for Zachariah”, “One Dollar”). Produce DogFish, distribuisce Magnolia.

 


Similitudine tra indagini.
Il detective che, per puro caso, viene a sapere di altri accadimenti analoghi successi poco tempo prima, un incrociar di dati casuale, riporta alla mente la storia narrata dal magnifico, recente e successivo, “UnBelievable”.

 


Spoiler (minuscolo).
Ho urlato di disperazione quando Harold (il "vecchio"), ad inizio film, abbandona la scena: era l'unico - senza bisogno di alcun senno di poi da parte dello spettatore -, assieme, per contrasto, al ragazzo (il quale però, per l’ appunto, proprio per la giovane età può essere scusato, e che anzi prova a rintracciare il tizio attivando il last-call return componendo il comando *69) -, che alle domande del poliziotto avrebbe potuto rispondere con una contro-supercazzola.

 


Nota WTF/MCK (what the fuck / ma che kazzo).
Il montaggio è IL linguaggio del cinema, e cosa dovrebbe significare il falso campo/controcampo etico/morale tra la sequenza di sesso orale forzata (stupro) appena conclusasi e il pp.p. di un bicchiere con cannuccia “solo” il regista può saperlo…
Qui siamo oltre Milgram, Hofling, Stanford/Zimbardo e Wave/Jones, e bisogna richiamare facendolo rientrare in scena “the Invisible Gorilla”: chiaramente Zobel (e Rizzo) ci sta(nno) trollando, sperimentando sulla cavia/spettatore...          

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati