Regia di Craig Zobel vedi scheda film
Ecco uno di quei film di cui meno sapete e meglio è. Potrei fermarmi qui per paura di svelare troppo, ma prometto di non fare accenni alla trama più del necessario e soprattutto giuro che mi impegnerò nel convincervi a cercare, scovare e vedere Compliance, un grande film. Peccato che si tratti di una pellicola che in Italia per oscure ragioni non vedremo mai e quindi sarete costretti ad usare l’arma impropria del download, probabilmente discutibile, ma al momento l’unico mezzo che vi consenta di vedere pellicole che nel resto del mondo mietono premi e consensi, mentre da noi restano colpevolmente invisibili, introvabili e pericolosamente occultate, ma questa è un’altra storia. Compliance è una pellicola tesa e fortemente politica, come tutto il buon cinema sa e deve essere, una riflessione brutale e senza sconti sul potere, reale e percepito, sulla colpa e sulla fragile stabilità dell’umano sentire di fronte all’autorità, il pregiudizio e l’auto conservazione. In un venerdì sera qualunque, in un fast food qualunque, lo staff si prepara a gestire la serata di lavoro, ad un tratto arriva la telefonata di un uffuiciale di polizia, una delle impiegate è sospettata di furto, l’ufficiale chiede così la collaborazione della responsabile per aiutarlo a districare questa ingarbugliata matassa. Sarà l’inizio di qualcosa che andrà molto oltre la normalità, la decenza e il buon senso. Compliance procede come i migliori thriller, pur non essendolo, svelando le proprie carte e le proprie intenzioni un pò alla volta, lasciando che sia lo spettatore a schierarsi ingenuamente, facendo leva sulla percezione di autorità e sull’istinto. Film politico dicevo, estremamente determinato a puntare il dito, modificando il concetto di vittima ed arrivando a mettere in discussione tutto quel che conosciamo, la buona fede, la volontà e l’incapacità di interpretare il presente, frenati dalla nostra umanità e dalla fallace fragilità che ci atterisce e trasforma. Compliance regala più domande che risposte, compiendo il miracolo di imporre allo spettatore una seria riflessione a proposito di una più che possibile immedesimazione. Al posto dei protagonsiti come ci saremmo comportati? Siamo proprio sicuri che la razionalità avrebbe prevalso sul pregiudizio, sulla paura, sull’ignoranza? Compliance ci pone domande non solo scomode, ma anche molto difficili, non è facile guardarsi dentro e riconoscere l’abisso, forse è più semplice di quanto pensiamo mentire a noi stessi, credersi giusti non equivale ad esserlo veramente. Concludo con una necessaria nota polemica. In questo paese è diventato sempre più difficile pensare, scegliere e forse addirittura comprendersi. Il cinema, in quanto arte capace di interpretare e raccontare il presente ed il passato, ha delle responsabilità. La proliferazione di cinepanettoni ed insulse commedie corali made in Italy, uniti a pellicole importate, spesso innocue e piene zeppe di stordenti e ridondanti effetti speciali, sta contribuendo ad educare una generazione intera a non porsi più le domande giuste, affogata in un oceano di troppo risposte, spesso sbagliate. Il cinema, il buon cinema, pone domande. Pretendiamo più buon cinema. Pretendiamo più domande.
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