Regia di Valeria Bruni Tedeschi vedi scheda film
Una vecchia francese ha urgentemente bisogno di soldi; cerca così di convincere i due figli - maschio e femmina - a vendere un castello abbandonato decenni prima dalla famiglia, che si trova in Italia. Cominciano i litigi, momentaneamente sospesi quando il maschio muore fulminato dall'aids.
"Davvero ho visto questa roba?". Difficile uscire dalla visione di Un castello in Italia con una domanda differente in mente. Una pellicola involontariamente esilarante per tutti i suoi cento minuti di durata, goffa e sgraziata nella regia e nei contenuti esattamente come è la recitazione della protagonista/regista/sceneggiatrice (insieme a Neomie Lvovsky e Agnes de Sacy): un disastro, semplicemente da non crederci. E pazienza se l'orgoglio transalpino tenta di salvare la faccia a questa produzione francese nominandola per la Palma d'oro (!), ovviamente mai arrivata: la terza regia di Valeria Bruni Tedeschi è probabilmente la peggiore fino a questo punto della sua carriera - ma in futuro la Nostra potrebbe ancora stupirci, negativamente s'intende. Una storia che più snob e fuori dal mondo non si potrebbe con personaggi boriosi, scritti superficialmente (malgrado le presenze di Filippo Timi, Silvio Orlando, Pippo Delbono, Louis Garrel) e colpi di scena assurdi (uno dei protagonisti muore di aids, un'altra va a farsi inseminare artificialmente) che sembrano inseriti a casaccio, presi da un catalogo di banalità assortite; Un castello in Italia si riassume a perfezione nella scena-sketch (perchè sembra una gag comica, sebbene nelle intenzioni di VBT non dovrebbe esserla) in cui la protagonista si mette a spiegare a delle suore come funziona l'inseminazione artificiale: un gesto disperato, ingenuo, inquietante, una perdita di tempo e una fatica inutile. Esatto, come questo film. 1,5/10.
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