Regia di Robert Rodriguez vedi scheda film
“Machete reitera” . Forse è troppo sofisticata, la frase, e mi meriterei una machetata tra le scapole. Ma è così.
La coazione a ripetere (altra machetata ) fa parte dell’operazione di macelleria ludico- seriale che Robert Rodriguez porta avanti in spregio ad ogni decenza.
Machete kills seguito (?) del folle primo episodio, si apre con il trailer del terzo capitolo, Machete Kills again in Space. La serie C del cinema che perde ai playout per goleada. Sotto una pioggia torrenziale e i giocatori che goffamente cercano di dare un senso al correre sul campo. Ecco.
Messe le mani avanti per il seguito che non si farà, visti gli incassi miserrimi di questo capitolo sul suolo americano, il film si rivela per quello che deve essere. Un fumetto trash, splatter, divertito e a tratti divertente spiattellato sulla goffa figura di Danny Trejo dal muso talmente reticolato da mandare in tilt Google Earth.
Faccia da Pedro che a settanta anni suonati si permette di concupire Amber Heard a scapito di qualsiasi verosimiglianza, tanto la verosimiglianza non abita da queste parti.
La ricetta è sempre quella del replicare il passato remoto dei gloriosi B-movie dei double bill , nostalgia trasmessa per osmosi dal genio di Tarantino e che qui viene rimessa su digitale (con graffi, in un parodistico omaggio alla pellicola ormai quella si, oggetto di nostalgia) senza alcuna ombra di rielaborazione linguistica. Il citazionismo è spinto sulla mimesi calligrafica (altra machetata nel capocollo) dei generi avventura/spionistico con un ampio saccheggio della follia dei supercattivi antagonisti di James Bond 007.
Quasi che a volte si ha la sensazione di essere sul set di un film di Austin Powers , più che di Machete.
L’errore e l’inverosimiglianza più che dall’ ictus dell’incredulità vengono sorrette dalla loro sistematica ricerca ed esibizione così da fornire al cinefilo gaudente un’ampia varietà masturbatoria riguardo le capacità ricognitive della propria cultura sub cinefila.
Machete Kills è un rigurgito dai sotterranei bui nei quale giace sedimentata tutta la paccottiglia cinematografica adolescenziale, rimossa e rimessa così come era stata ingoiata. Senza l’ingenuità del tempo però, anzi facendo leva proprio sulla mancanza di freschezza e spingendo sull’exploitation ridanciano così da avvicinarsi più alla parodia del cinema bis più che ad una suo ricalco estetico.
Ritroviamo quindi le girls in armi e pochi vestiti, una maitresse dalle zone erogene letali, il cattivone che ha il missile atomico in salotto. Le porte degli ascensori che si chiudono proprio mentre i cattivi sparano, l’eroe che passa attraverso grandinate di proiettili.
Riverbera l’eco dei citati “nanetti rossi” di un cinema messicano seventies interpretato dai semidei della Lucha libre, (di cui lo scrivente -cioè io- ricorda e conserva il fantastico Cinque superman contro i nani venuti dallo spazio, 1971 vero stracult che mi iniziò alla monnezza cinefila) riesumato dalla maschera da lottatore indossata dal pazzo criminale nemico di Machete.
Marchio di fabbrica sono le partecipazioni all’empio banchetto di tutte le star decadute del firmamento mainstream che si regalano ruoli sdoganati dal politicamente corretto aderendo con partecipazione alla scorrettezza da multisala mainstream di Rodriguez.
Il quale monda le carriere di attori in declino utilizzando la stessa porta dalla quale sono usciti e messi in attesa, giocando proprio sulla loro immagine lesa dalla maestà del botteghino. Un po’ come sa fare Tarantino ma se il Maestro è Giovanni Battista , Rodriguez è Ron Hubbard .
Quindi abbiamo Jessica Alba abbonata al fumetto e Michelle Rodriguez sempre più chica (diobòno ). Amber Heard bonazza opulenta. Il presidente degli USA Carlos Estevez puttaniere quanto il suo alter ego d’arte Charlie Sheen; Mel Gibson versione dottor Male e uomo senza (più) un volto. Antonio Banderas, Cuba Gooding Jr e Lady Gaga già trasformista caleidoscopica che regalano il personaggio migliore del film: il killer Camaleonte.
Il divertimento all’inizio è folgorante, le idee elevate all’assurdo su set posticci, gli effetti generati da un consapevole uso decrepito di un digitale che sa di cartone, rimandano alle rozze scenografie dai trucchi da fiera del riciclo dei film no budget . A grande richiesta torna una variazione sul tema dello sbudellamento che fece la fortuna del primo capitolo. Machete ha sei battute sei, tutte sceme.
Poi il tutto scema, il ritmo latita, le pause tradiscono un fiatone da mancanza di idee e si arriva alla fine con un po’ di fatica. Sul The End psichedelico tornano i trailer del terzo capitolo, una summa di parodie spaziali che ricordano la fine de La Pazza storia del Mondo di Mel Brooks. Ma bastano queste, non c’è bisogno del film come nelle trite commediacce italiote dove le battute migliori sono nei trailer, meglio fermarsi.
A differenza dell’immaginario cinematografico che anela come riferimento, il cinema di Rodriguez non formerà cinefili, il suo è un cinema che guarda ad un passato ignorato dagli adolescenti, rifiutato dai trentenni, osteggiato dai puristi del genere.
Come i suoi personaggi, è un cinema che non ha futuro, un esercizio di B movie sganciato dai suoi diretti referenti per abbracciare il ludibrio orgiastico dell’autocitazione. E’ un frankenstein bloccato in un continuo loop di smembramento e rianimazione che se reiterato (Machete reitera?) una terza volta rischierebbe di perdere i pezzi per strada.
Grazie per il contributo cinefilo ma l’accanimento celebrativo ora non avrebbe più alcun senso.
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