Regia di Jérôme Enrico vedi scheda film
Ricordate IRINA PALM? Narrava di una nonna sessantenne, disperata e impotente davanti alla grave malattia del nipotino, che decideva eroicamente di prostituirsi per trovare il denaro per un'operazione-miracolo. E da questa esperienza non usciva umiliata o sminuita, ma cresciuta in dignità e coscienza di sé. Qui... beh, è tutt'altra cosa.
Paulette è una pensionata con la minima; vedova da molti anni vive sola in un fatiscente palazzone popolare alla periferia di Parigi. E' una vecchia odiosa, razzista, maleducata. Ha pessimi rapporti con la figlia Agnès da quando ha sposato Ousmane, un simpatico poliziotto di origine africana, che sopporta con pazienza di essere chiamato da lei “sporco negro”. Le poche volte che è costretta ad occuparsi del nipotino Leo lo tratta malissimo, si rifiuta di toccarlo, lo chiama scimmietta e lo chiude in uno stanzino a leggere vecchie riviste finché la madre, stravolta dagli straordinari, non viene a riprenderselo. Stesse “gentilezze” usa verso le sue coetanee del centro anziani con cui gioca a carte e verso un distinto dirimpettaio, che vorrebbe corteggiarla ma si vede regolarmente trattato a pesci in faccia.
Nel quartiere in cui vive lo spaccio di droga avviene tranquillamente alla luce del sole; un giorno, durante l'ennesima retata, Paulette si trova tra le mani un pacchetto da un chilo di hashish di cui uno spacciatore si era liberato. Nasce così, del tutto casualmente, quello che in poco tempo diventa un mito della periferia: Nonna Spinello e i suoi magici dolcetti alla cannabis. Dopo un inizio difficoltoso gli affari vanno alla grande, al punto di doversi trovare delle aiutanti. Il boss del quartiere la tratta benissimo (è la sua migliore dettagliante) e nessuno sospetta di lei, nemmeno il genero poliziotto, che gentilmente chiude un occhio sull'attività di una vecchia signora che arrotonda la pensione vendendo pasticceria senza licenza.
Tutto fila liscio finché il boss del boss interviene: è molto soddisfatto dell'idea di madeleines e macarons, ma ora bisogna creare una linea di dolci più semplice, adatta anche ai bambini di 6-7 anni. E a Paulette cade il mondo addosso, proprio non se la sente di spacciare droga a bambini dell'età di Leo: deve trovare una soluzione.
L'inizio colpisce, uno sguardo lucido, quasi spietato sulla vita dei vecchi poveri e soli nella periferie di una grande città, costretti ad abbandonare ogni dignità e frugare fra i resti di frutta e verdura scartati dai bancarellai del mercato rionale. Ma in pochi minuti diventa una buffonata: situazioni più dementi che demenziali, battute più idiote che divertenti, caratteri surrealmente esagerati. Non sono una fanatica sostenitrice del politicamente corretto, ma qui veramente si esagera, pretendendo di far ridere con triti stereotipi razziali ai limiti della denuncia. In più l'obiettiva turpitudine del commercio di droga è rappresentata con uno sguardo divertito, come una birichinata più che perdonabile, assoluzione non riscattata da un finale beffardo e solo apparentemente moralistico.
Qualcuno poi deve spiegarmi perché di colpo, appena fa un po' di soldi, Paulette diventa amabile, cordiale, munifica. E anziché sistemarsi in una casa decente come farebbe nella realtà qualsiasi vecchietta che ha vinto alla lotteria, dilapida le molte migliaia di euro guadagnati in mesi di traffici in una gigantesca tv al plasma, una fuoriserie decapottabile che non può guidare perché non ha la patente, gioielli pacchianissimi, abiti firmati ma inguardabili, vacanze in suite di lusso a cui invita generosamente l'improvvisamente amato nipotino e tutta la compagnia di pasticcere.
Spiace veder coinvolta in una simile sbobba la 75enne, ma ancora in gran forma, Bernadette Lafont, che fin dal debutto nel 1958 in LE BEAU SERGE di Chabrol ha lavorato col meglio dei registi della scena francese, da Vadim a Molinaro, da Costa-Gavras a Truffaut. Stessa costernazione per la presenza di un'invecchiata Carmen Maura, di almodovariana memoria, fra le amiche pasticcere della protagonista.
Purtroppo il regista e sceneggiatore Jerome Enrico non è Ken Loach, ma temo che nemmeno il grande regista inglese paladino dei diseredati sarebbe riuscito a trarre qualcosa di decente da una storia così balorda. Certo non collabora alla riuscita della versione italiana il consueto pessimo doppiaggio (nei film francesi le traduzioni sono sempre ai minimi sindacali); ho cercato di seguire il labiale, ma non riesco proprio a trovare una ragione del milione di biglietti staccati in Francia per questa ignobile farsa. Dimenticate qualsiasi possibile similitudine col lieve, elegante, ironico L'ERBA DI GRACE. Per tornare al paragone iniziale: se Irina Palm era una leonessa, Paulette è una pantegana.
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