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La sposa promessa

Regia di Rama Burshtein, Yigal Bursztyn vedi scheda film

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La recensione su La sposa promessa

di FilmTv Rivista
8 stelle

Shira sta per sposarsi. Del suo promesso sposo non conosce il volto né la voce: nella comunità ebrea ortodossa di Tel Aviv i matrimoni sono decisi tramite trattative fra i membri anziani. Ha una “soffiata” e sbircia colui che sarà suo marito tra gli scaffali di un supermercato, di nascosto: l’emozione esplode sul suo viso di adolescente. Poi però capita che la sorella di Shira muoia di parto, che il cognato vedovo sia obbligato a risposarsi per il bene del neonato, e che l’ipotetica seconda moglie implichi un trasferimento in Europa che nessuno dei nonni auspica. Semplice quanto spaventosa, s’insinua tra i parenti la soluzione: Shira potrebbe sposare il vedovo, fare da madre al nipotino, e tenere unita la famiglia. La decisione spetta a lei, chiamata a colmare un vuoto (Fill the Void, recita il più efficace e meno manzoniano titolo originale e internazionale) impossibile, sostituendosi all’amata sorella, oppure a farsi responsabile della dispersione del nucleo. Esordiente, Rama Burshtein fa di inesperienza virtù: la macchina da presa quasi immobile, i primi piani, la fotografia costantemente flou, anziché trasmettere l’incertezza della regia, amplificano la vicinanza con i tumulti del cuore della protagonista e la pellicola finisce per “respirare” insieme a lei. Incastrata in un onere troppo grande per la sua età acerba, tirata in opposte direzioni dalla necessità di agire per il bene dei suoi, dal terrore che la attanaglia, dal dispiacere di vedersi privata del ma- trimonio che sognava o credeva di sognare, Shira (la giovanissima vincitrice della Coppa Volpi a Venezia 2012 Hadas Yaron, un volto che è paesaggio cangiante e magnetico) si tormenta. Si guarda intorno e vede la confortante normalità dei riti e delle regole, delle tradizioni e delle preghiere, diventarle inutile ed estranea, mentre l’occhio della regista ritrae l’universo chiuso e complesso degli ortodossi israeliani con il filtro dell’ironia ebraica: senza conflitto, ma senza compiacimento. L’opera prima della Burshtein finisce così co- me era cominciata: con il rossore sulle guance di una ragazza, perché anche racchiusi tra le maglie di una tradizione millenaria e rigida, i palpiti di una giovane donna restano movimenti di spiazzante freschezza.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 47 del 2012

Autore: Ilaria Feole

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