Regia di Rama Burshtein, Yigal Bursztyn vedi scheda film
Nella terra promessa anche le spose divengono tali,in liturgie dove tutto è precostituito e scritto secondo dogmi imposti.La giovane Shira è "martire" di regole scritte,di uno schema di facciata dove i rabbini decidono il tuo futuro secondo la voce di Dio.Una "teocrazia" dominata da famiglie tradizionaliste dove l'adolescenza è rito di passaggio per la donna,non esiste il "sentimento" ma tutto è "la cosa giusta da fare".Il dilemma e il tormento dell'animo giungono allora per smuoverti dalla realta' antica, consolidata nelle fondamenta sociali.La regista Rama Bursthein sceglie la voce del tradizionalismo religioso,dogmatico sotto ogni aspetto,nella demagogia ampliata in ogni strato.Riprese fisse,primi piani,regia semplice e tradizionale a raffigurare caste sconosciute a noi occidentali,la fotografia risulta invece luminosa,ad assorbirne ogni umore e sensazione che scende a patti con la rigidita' di un ambiente odierno nel reale,ma antico nelle virtu'.Il piglio tradizionalista della pellicola è evincente in ogni fotogramma,dove il centro di tutto è la giovane Shira,combattuta tra il desiderio di una giusta indipendenza,in lotta con lo schema "giusto" per tutti.Ogni emozione e tormento è miscelato secondo un rigore formale,dove la voce della "giustizia" non è legata alle leggi dell'animo,ma a scritti millenari,tramandati da uomini dalla saggezza arcaica,figure ieratiche dove giovani e vecchi portano nelle vesti e nelle lunghe barbe il segno distintivo di un luogo di appartenenza ristretto e formale."La sposa promessa" è un film che non aggiunge nulla ai deja-vu riguardanti i tormenti dell'animo,l'interesse principale di questo film è la canonicita' dei suoi riti,un qualcosa di documentaristico sconosciuto nelle nostre terre.Il tocco registico parla a noi entrando nella tragedia di una famiglia di ebrei ortodossi,il dolore di un gruppo è suggello di soluzioni dettate da dogmi obsoleti,la giovane Shira diviene allora agnello sacrificale,combattuta tra il dovere e la "liberta'" di scegliere,ma vincera' il bene comune e non il sano individualismo.La differenza con altri film è qui,dove trionfa la "teocrazia" e il perbenismo ad ogni costo.L'amaro in bocca trionfa per questo,per un animo giovane con vita gia' scritta.Un opera interessante nel descrivere un mondo antico e chiuso in se stesso,una narrazione semplice e formale,dove la regia sceglie un distacco quasi annunciato,come un voler dare ragione al dogma piu' che alla liberalita' personale.Non esiste una critica moralistica,etica o sociale,ma uno scendere a patti con il divino.Di certo c'è da ammirare la performance dell'attrice Hadas Yaron,vincitrice della Coppa Volpi a Venezia,un viso bello e pulito nella semplicita',l'incarnazione piu' autentica di una gioventu' chiusa e prigioniera tra le righe di testi sacri.....
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