Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
E fu così che finalmente, messo di fronte ad un soggetto che non risolve nel meccanismo il dipanarsi della trama, che non concentra nel finale tutte le aspettative della storia, M. Night Shyamalan mostrò tutti i suoi limiti di narratore. Cosa che era già successa parzialmente in E venne il giorno dopo che forte di un incipit sconvolgente moriva poi con l’andar del tempo verso una pappetta paraecologica dove la credibilità degli eventi era delegata alle facce stupefatte deli suoi attori. E gli attori erano Mark Wahlberg e Zoey Deschanel.
Lasciando perdere L’Ultimo Dominatore dell’Aria per conclamati limiti, anche questo After Earth si pone come storia di ecologismo da riporto, strizzando l’occhio a Stalker di Tarkovskij e memore delle immagini di Herzog, nell’Ignoto spazio profondo. La potenza della natura che prende il sopravvento sulle catastrofi umane e riconquista rigogliosa e selvaggia il dominio della terra. Filmò la giungla pluviale, Herzog, e su quelle immagini trascrisse una delle più belle pagine del cinema contemporaneo forte della potenza evocativa della natura. Ma M. Night Shyamalan non è Herzog e neppure Malick, un altro che pone l’uomo al cospetto delle forze della natura.
Ecco. Storia di un nuovo uomo nel nuovo mondo, o meglio una rinascita che trova nella natura la chiave di volta per mettere l’essere umano di fronte al mistero della creazione. Esistenzialismo alieno. Togliendo mistero, togliendo potenza evocativa, al netto di qualsiasi filosofia e aggiungendo computer grafica, una modesta visione del futuro e due divi padre & figlio che fanno padre e figlio, si ha After Earth.
Misteriosi ranger, duri e puri, hanno fatto evacuare la Terra resa inabitabile dalla condotta anti ecologica dei terrestri (qui la forte denuncia e monito per il futuro…) portandoli sul pianeta Nova Prime. Purtroppo abitato da strani esseri, gli Ursa che si divertono un mondo a storpiare i coloni. Esseri che i terrestri chiamano alieni, ma gli alieni in realtà siamo noi. Vabbè.
Questi esseri sono ciechi ma sentono i ferormoni della paura e i ranger non hanno paura di nulla e sono gli unici che combattono e vincono gli Ursa. La visione del futuro è molto anni ‘70 , nostalgica e anelante una purezza delle forme che dovrebbe richiamare ad una ritrovata capacità interiore di comprendere il creato in armonia con l’universo. Il ranger Cypher Raige (Will Smith) rigido e inespressivo, addestrato alla dura disciplina militare vorrebbe che il figlio fosse come lui, ma invece di amore gli impartisce ordini. E il figlio Kitai, aggrottando le sopracciglia e esponendo ai trenta metri quadrati di schermo la peluria preadolescenziale del labbro superiore ( che vien da dire, ma in un futuro così …..futuro, un epilatore laser , no? ) fissa l’universo con rabbia. Opperò. Allora il padre lo chiama per una facile missione in un facile pianeta poco lontano.
Ma l’astronave investita da una pioggia di meteoriti, fugge nel buco spaziotemporale (che nostalgia la zona plaid) e atterra, guarda un po’ , nella vecchia Terra abbandonata mille anni prima e ormai riconquistata da vegetazione lussureggiante e popolata da animali selvaggi.
Purtroppo l’astronave si spezza in due tronconi; purtroppo lo strumento che serve a chiedere aiuto è nel troncone a 100 km di distanza da dove padre e figlio, unici superstiti, si trovano; purtroppo il padre ha una gamba spezzata e il figlio deve andare a prendere lo strumento ma purtroppo l’Ursa che trasportavano si è liberato e gira indisturbato nella foresta.
Quante premesse. Quante condizioni per impostare una semplice storia di crescita e iniziazione alla vita. La prova che deve superare il ragazzino nella foresta è la prova che serve a conquistare il padre, incapace di amare perché ai ranger per farli stare dritti e inespressivi gli infilano un manico di scopa nel culo e con un manico di scopa infilato nel culo è difficile amare. E’ difficile anche sedersi, per questo. Infatti a storia finita, quando si salvano (perché si salvano, non ci sono sorprese in un film hollywoodiano) lui chiede che lo aiutino ad alzarsi e fa a suo figlio il saluto militare. Dio mio che enfasi retorica.
Il serial killer della fantascienza contemporanea, Will Smith, protagonista delle storpiature di Io robot e Io sono leggenda, rispettivamente da Asimov e Matheson, evidentemente è tanto amante della fantascienza quanto attratto morbosamente dal pronome “io”. In questo film è attore, produttore insieme alla moglie Jada Pinkett Smith, autore del soggetto e della sceneggiatura in collaborazione con Gary Whitta.
Per la parte di suo figlio ha scelto Jaden Smith , suo figlio, così da rendere più vero il cuore del rapporto conflittuale esistente nella storia di padre e figlio. L’estremizzazione del concetto del cinema per famiglie. Solo che quello grande recita dilatando le narici (più le narici sono dilatate e più il momento è drammatico), il secondo non avendo ancora interiorizzato il Metodo Stanislavskij delle Narici Drammatiche, recita aggrottando le sopracciglia. Il resto è un bignami di tutte le frasi esistenti nel cinema quando il rapporto tra padre e figlio esplode nella conflitto generazionale con tanto di trauma infantile incorporato ( tu non c’eri mai! ®).
Il tutto in salsa fantascientifica, ma mai filosofica delegando piuttosto all’utilitarismo di oggetti che non trascendono la mera natura del loro utilizzo ( il film si regge solo sulla ricerca di una paletta da puntare verso il cielo; l’unica arma è assurda e inutile; tutto abbisogna di una spiegazione altrimenti non si capisce nulla) la meccanica degli eventi. I trucchetti di sceneggiatura abbondano, mesti artifizi per far quadrare il tutto verso una media comprensione della storia così che nulla resti sospeso ( l’aquila che segue il piccolo Kitai e lo protegge per dimostrare che la natura seppur selvaggia ha in sé bontà; quando Kitai sconfigge il mostro e risale sull’astronave c’è un tizio che dal monitor vede la sua impresa così che tutti sappiano che il ragazzino non è un deficiente) e che mai possa generare domande.
Cose così, telefonate, proprie di un cinema esplicativo, didascalico (quante spiegazioni ad uso dello spettatore dell’equipaggiamento del ragazzo, ma non era quasi un ranger? Non dovrebbe saperle già?), patetico, stanco esercizio di filmica mainstream per famiglie. Ecologia un tanto al chilo in una fantascienza che si estrae dal genere poiché, mai radicale nella messa in scena, non sposta in là di un millimetro i temi che tratta. Cinema senza fantasia e senza meraviglia, senza divertimento. Pessimo cinema di immaginette e personaggini. Pessimo.
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