Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
La “spettralità“ di M. Night Shyamalan.
«Ginocchio a terra» ordina l’autoritario imbattibile generale Will Smith al sensibile figlioletto Jaden ogni qualvolta quest’ultimo si trova in difficoltà, con i battiti del cuore che schizzano furiosi e spaventati e la paura ad impossessarsi della acerba mente. Posizione che servirebbe per configurarsi col “presente” e convogliare le energie e la concentrazione tutta agli elementi circostanti al fine di controllare se stessi, l’ambiente e gli eventi scaturenti da ogni scelta.
Quisquilie. Una delle tante: al massimo va bene come poster di lancio (ed infatti …).
Tutto ‘sto preambolo per dire che After Earth è una (lunga) sequela di (tentativi di) colpi ad effetto, ma l’unico effetto certo che ottiene è una svagata sensazione di aver perso tempo.
L’ultimo lavoro del regista de Il sesto senso accumula senza tanti complimenti e stancamente tutti i luoghi comuni del genere e riflessioni connesse.
Così, se la linea narrativa s’incunea presto, e sin da subito, tra le banali tracce di una storiella svolta in maniera quasi asettica, inerte, nonché fortemente riciclata e derivativa, pure i consueti schemi e meccanismi accessori e fondamentali ad instillare empatia e attenzione, hanno (id)entità clonate ma soprattutto portata flebile, a corto raggio d’azione.
Oltre ad un copione che è oggettivamente modesto e che pretende eccessive concessioni, più del lecito, alla verosimiglianza degli accadimenti, la pellicola presenta per l’ennesima volta, sviluppandole fiaccamente e senza crederci granché, alcune logore tematiche: la complessità del rapporto padre-figlio, il racconto di formazione, la scoperta della consapevolezza dei propri mezzi, il riscatto da vicende passate che tormentano il presente, la capacità di affrontare paure, il trionfo dei valori “giusti”.
A conti fatti, un “sano” inzuppamento nella brodaglia retorica di stampo patriottico e familiare/familistico che si rivela essere la cifra stilistica del film.
Per quello che è invece l’aspetto estetico, la ricostruzione visiva di sfondi e scenografie appartenenti ad un’epoca futura e a realtà “aliene”, potrebbe tranquillamente valere quanto già detto: niente di che. O meglio, niente che brilli per inventiva o ricerca di sfondare le solide barriere del già (stra)visto e già assimilato.
Quel globo azzurro noto un tempo come la Terra viene descritto come un mondo totalmente selvaggio, ricco di fauna e flora ostili: tra la natura incontaminata, le presenze minacciose, le bestie fameliche, pare di stare nell’isola di Lost; quasi si rimane lì in attesa del mostro di fumo nero …
Ma è un attimo, perché poi il faccione mai così dannatamente serio(so) di un immobile Will Smith padre-padrone dai modi duri, truci, ma con un cuore grande così (leggi: ridicolo), riporta le cose al loro naturale stato (di minestrina riscaldata, insipida e incolore). Una buona mano (di grigio) gliela dà la prole-fotocopia, Jaden Smith, il quale alterna un paio di mosce espressioni (spaurito-moccioso) perlopiù a caso, come capita (e cioè spesso male).
L’unico volto che alla fine rimane un pochino impresso è quello, stupendo, di Zoë Isabella Kravitz (sì, figlia di Lenny Kravitz e Lisa Bonet: i geni non mentono), che interpreta il ruolo della sorella defunta/apparizione allucinatoria del giovine protagonista. Volto, inutile dire, sprecato; schiacciato com’è dalla ingombrante casa(ta) Smith.
Però la domanda delle domande non può certo stare troppo a bagnomaria: lo zampino di Shyamalan s’avverte in qualche modo? Risposta: no, in nessun modo.
Che il film possa tutto sommato risultare vedibile è un fattore che si deve più all’ammucchiata di ovvie semplificazioni adrenaliniche che all’abilità del regista, che in sostanza si limita a svolgere il compitino da bravo dipendente.
Del suo celebre “tocco” non v’è ombra e, dati i primi risultati al box office che indirizzano After Earth verso un sontuoso flop, immediatamente dopo quello super dell’inguardabile L’ultimo dominatore dell’aria, non si può che constatare che M. Night Shyamalan sta diventando pericolosamente l’ombra di se stesso.
Uno spettro che ve(n)de film morti.
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