Regia di Salvatore Mereu vedi scheda film
Quasi come una confessione. Sguardo in macchina e voce fuoricampo. Il flusso dei pensieri si incrocia, combacia e si contraddice con quello che accade in Bellas mariposas, dal romanzo omonimo di Sergio Atzeni, un giorno nella vita di due adolescenti, Cate e Luna. Un viaggio nella periferia semideserta di Cagliari, tra palazzoni ingombranti e la spiaggia, ma anche nei loro desideri, provocazioni e ammiccamenti sessuali e negli ombrosi spaccati familiari. Potrebbe essere come un film in soggettiva, contaminato da uno sguardo in cui il realismo quotidiano diventa visionario, con la luce del giorno e il buio della notte che trasformano ogni inquadratura, trasportando lo spettatore in un universo magico come nella sorprendente apparizione di Micaela Ramazzotti nei panni di una veggente. Il film di Mereu non si ferma davanti a niente, si pone come una sfida anche estrema e anomala nel panorama italiano e qui unisce idealmente tutti i suoni dell’adolescenza dell’ottimo Sonetàula con l’esperimento/laboratorio di Tajabone. Solo nel finale qualcosa si rompe con un’allegoria forse stonata che però, proprio nel suo limite, conferma come quel frammento di vite delle protagoniste e lo sviluppo dell’opera siano in simbiosi. E in questo senso il cinema del regista sardo mette davvero in campo tutte le forze che ha, confermando la coerenza di un itinerario che si rifiuta di seguire strade già percorse.
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