Regia di Salvatore Mereu vedi scheda film
Cate abita in un quartiere popolare di Cagliari. Figlia di un pezzemerda che non lavora e ha pensato solo a procreare figli, sogna di diventare cantante. In prima persona, rivolgendosi a noi spettatori, ci racconta la sua famiglia: la madre, l’unica che lavora per farli vestire bene; la sorella Mandarina che si prostituisce, ha già un figlioletto a carico e sogna una casa a Mulinu becciu; la sorellina che “nuota” con gli occhialini nella vasca da bagno; il fratello tossico e quello rissoso (Tonio) che faranno la fine di babbo; Ricciotti (come Greatti del Cagliari scudettato) sensibile e il solo che potrebbe fare gol, nessi tui (almeno tu). Cate è innamorata non ricambiata di Gigi, impacciato e zurpone preso in giro e di mira da Tonio e dagli amici. Figlio della dirimpettaia, bassista avvenente e sogno proibito di maschi allupati. Cate racconta anche i risvegli chiassosi della signora Sias e del marito mandrone Federico, di una giornata al Poetto con l’amica gemella Luna (con una piccola citazione di DOMENICA D’AGOSTO di Emmer), gli incontri avventurosi e strambi per una Cagliari canicolare e promiscua. La giornata si chiude sulle scalinate dei palazzoni in cui vivono, luogo dove si risolvono le sorti dei protagonisti, previste e anticipate dalla coga Aleni, una maga che scende da un furgoncino Wolkswagen per leggere la mano. Dalla casa di Cate esce il padre ed entra Luna…
Le BELLAS MARIPOSAS (belle farfalle) sono Cate e Luna, fanciulle la cui vita non è e non sarà facile, forse è già scritta in una periferia e in una famiglia degradata, disastrata, simbolo di una realtà sociale e umana. Una sorta di aggiornamento al terzo millennio del subproletariato urbano, estremo e ossessionato dal sesso quale forma principale di argomento, linguaggio, pratica quotidiana e linfa vitale. Il regista Salvatore Mereu alla quarta prova cinematografica (con la terza TAJABONE ancora invisibile), parte dal racconto omonimo e postumo del compianto Sergio Atzeni per realizzare un film che mantiene la prosa e lo spirito del libro. Con bravura non lo snatura ma lo arricchisce, Cate è una ragazzina sveglia che sa leggere le psicologie di coetanei e adulti, non vuole restare prigioniera di un mondo e di una mentalità. Con l’amica caratterialmente simile Luna evade da quella realtà e quello squallore, magari nuotando solo sott’acqua con il suo costume olimpionico dimenticando tutto e tutti (scena bellissima e muta). Una protezione, una corazza la sua. Mereu allo stesso tempo mette in scena uno stile sospeso, solare, maturo come le due giovanissime protagoniste, non necessariamente neorealistico o di denuncia ma diverso e leggero, ugualmente intenso e incisivo. Nella suggestiva lunga scena finale e notturna riannoda i fili delle vicende e dei personaggi con un realismo magico per via di Aleni (personaggio felliniano, interpretato dalla deliziosa Micaela Ramazzotti) che legge, sposta e muove destini. L’autore di Dorgali – produttore del film con la moglie Elisabetta Soddu e l’esperto Gianluca Arcopinto, più vari contributi regionali - usa il turpiloquio come unica forma di espressione verbale e comunicativa possibile, sa girare situazioni talmente evocative che non hanno bisogno di essere mostrate, sa descrivere un microcosmo universale e infine dirige gli attori professionisti e non (tra gli altri la cantante delle isolane Balentes Lulli Lostia) con la stessa efficacia tirando fuori il meglio da ciascuno. Vedi Luciano Curreli, padre depravato di Cate e interprete maiuscolo e pasoliniano.
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