Regia di Salvatore Mereu vedi scheda film
Adattare per il grande schermo Bellas mariposas, il racconto di Sergio Atzeni, era un'operazione azzardata per varie ragioni. Bellas mariposas è sì un breve racconto di una cinquantina di pagina ma è carico di personaggi, eventi, ambienti e luoghi fortemente denotati. L'io narrante che coincide con il punto di vista della protagonista poteva essere un intralcio per chiunque, così come la scelta di Atzeni di scrivere la sua storia in sardo e senza punteggiatura.
Salvatore Mereu, armato di coraggio e forse anche di una buona dose di ostinazione, è invece riuscito nell'impresa di realizzare un film che, guardando verso il neorealismo, sfrutta il linguaggio visivo moderno (digitale e telecamera a spalla creano un ibrido tra finzione e documentario metropolitano) per collocarsi tra il cinema pasoliniano e quello felliniano. Non è ardito il paragone: raccontando della degradata vita di periferia e fornendo una panoramica della fauna che la popola, Mereu segue i suoi personaggi da vicino, entra nelle loro vite in punta di piedi e ne esce in maniera altrettanto delicata con un finale sospeso tra dimensione reale e onirica.
Sarebbe stato facile puntare sul lato pruriginoso del racconto e tentare la carta dello scandalo. Mereu invece sceglie la via della carezza, prende per mano il personaggio di Cate ed entra nella sua testa.
Con un gioco di rimandi metacinematografici, l'io narrante si trasforma in una continua interazione tra la protagonista e il pubblico, in una sorta di dialogo virtuale in cui si invita lo spettatore ad entrare in scena, sedersi ed ascoltare quello che Cate ha da narrare. Capita sovente che con lo sguardo fisso alla camera, Cate ponga domande a cui dopo cerca di dare risposta o allontani coloro che, invadendo l'inquadratura, la distraggono dal filo della narrazione (prima la sorella Luisella, sul finale anche l'amica/sorella Luna).
Trasferendo la storia ai giorni d'oggi, Mereu restituisce una Cagliari inedita e mai vista sullo schermo. Spiagge, quartieri e vie della città appaiono volutamente anonime, conferendo al racconto una dimensione universale. La periferia cagliaritana potrebbe benissimo essere quella milanese o quella romana: lo squallore e la miseria dei palazzoni di cemento popolari, abitati da famiglie disperate e disparate, non ha geolocalizzazione né forti connotazioni di carattere socioculturale. L'unica peculiarità è data dal fatto che i personaggi vivono le loro condizioni con assoluta normalità, senza farsi carico del dramma dei loro problemi. Droga, sesso tra adolescenti, microcriminalità e deviazione psicologica sono vissute con la spensieratezza dell'adolescenza di Cate. Anche l'omicidio e la morte di una persona vengono filtrati con lo sguardo di una ragazzina, ora intimorita dal perdere l'amore della sua vita ora invece indifferente, quasi contenta, che qualcuno lo faccia fuori dal momento che il "suo" Gigi è interessato a un'altra ragazza.
Nella periferia di Cate non c'è spazio per le leggi dello Stato, la cui presenza è assente, così come non c'è spazio per le leggi della morale: ci si prostituisce a 13 anni, si ottiene da mangiare facendo favoretti sessuali, ci si buca di eroina davanti alle sorelle, ci si lascia masturbare da una ragazzina fin troppo contenta di essere diventata l'oggetto delle pulsioni dell'intero quartiere. Non c'è neanche speranza, se non quella di Cate di diventare un giorno cantante o di andare a vivere lontano con la sorella e l'amica Luna.
Ci sono solo due punti fermi: l'amicizia che permette di volare come belle farfalle e il credere nella Vergine Maria, colei che in un atto di carità regala la felliniana apparizione della coga Aleni, la veggente che prevede e soprattutto determina il corso degli eventi.
Puntando sulla recitazione di attori non professionisti ed esordienti, Mereu forse perde in credibilità recitativa ma guadagna in spontaneità, eliminando quell'alone di misuratezza o artificiosità che spesso accompagna le opere con protagonisti dei bambini o degli adolescenti. Sara Podda veste il personaggio di Cate della sfrontatezza necessaria per rendere naturale anche la più bieca situazione che le accade intorno. Le fa da spalla Maya Mulas, una Luna dal sorriso contagioso e dallo sguardo da bambina cresciuta troppo in fretta. Se meno preparati appaiono i ragazzi scelti per le parti maschili (Tonio e Gigi sono fisicamente poco credibili), a compensare arrivano gli esercizi di stile di Luciano Curreli, impegnato nel tragicomico e per certi versi grottesco ruolo del padre di Cate, e di Micaela Ramazzotti, presente per pochi minuti nei panni della conturbante e misteriosa coga Aleni, strega moderna di un mondo ancora troppo chiuso e tribale.
Voto: 8.5
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