Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Cupo racconto di come, nel Nord degli Stati Uniti, un artista libero e stimato sia stato improvvisamente privato della propria dignità e ridotto in schiavitù per dodici lunghissimi anni.
Solomon Northup era un cittadino libero di Saratoga, città nello Stato di NewYork dove viveva, apprezzato violinista e artigiano, insieme alla moglie e alle due figlie, godendo della stima e del rispetto generale.
La pelle nera non gli aveva creato ostacoli nella vita sociale e familiare fino al 1841, anno in cui venne rapito da un’organizzazione schiavistica che, dopo averlo ingannato con la promessa di un vantaggioso contratto di lavoro, lo aveva intontito con un intruglio di vino e belladonna e trasportato in catene nel Sud schiavista. Le sue vicissitudini, durarono fino al 1853, anno in cui, grazie all’intervento di un canadese abolizionista, gli venne riconosciuto il diritto di tornare a Saratoga e alla sua famiglia.
Northup lasciò la drammatica testimonianza di un racconto autobiografico, l’unico in cui la schiavitù dei neri negli Stati Uniti sia stata raccontata da chi l’aveva vissuta di persona.
A questa narrazione si ispira fedelmente il film di Steve Mc Queen che, dopo aver ricostruito con cura gli scenari in cui Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) si muoveva liberamente, tra Saratoga e Washington, sposta l'obiettivo nei campi di cotone della Louisiana, ovvero nei luoghi della schiavitù del suo personaggio, ripercorrendone le tappe.
Solomon non ebbe un solo padrone, ma tre, l’ultimo dei quali, Edwin Epps (Michael Fassbender) è, dei tre, il più cupamente feroce e anche il più complesso e contraddittorio, dominato totalmente, a sua volta, da una moglie possessiva e gelosa.
Il regista sembra suggerirci non tanto che esistano diversi modi di essere schiavisti, dal più brutale, al più tormentato, al più “umano”, ma che lo schiavismo sia soprattutto la condizione mentale di chi accetta che un presunto ordine naturale o divino assegni privilegi e privilegiati, ciò che lo stesso Solomon - anche lui figlio del suo tempo - pensa, attribuendo la propria ingiusta sofferenza all'equivoco generato dalla perdita dei propri documenti e mantenendo nel tempo la propria convinzione, persino quando Bass (Brad Pitt), il canadese che diventerà il deus ex machina della sua vita, gli restituirà - con sentenza del tribunale federale - i diritti conculcati, che gli si dovevano per essere stato un uomo libero.
Solo dalle scritte sullo schermo, alla conclusione del film apprenderemo che egli successivamente aveva lottato per l’abolizione della schiavitù.
L’argomento trattato è certamente fra i più dolorosi e potrebbe essere molto coinvolgente se Steve McQueen non fosse molto attento, grazie alla cura meticolosa impiegata, a raggelare ogni deviazione mélo, trasformando la cupa materia trattata in fredda rappresentazione artistica.
Inutilmente si cercano in questo film spiegazioni storico-economiche o condanne morali della mentalità, all'epoca largamente condivisa, secondo la quale la ricchezza individuale fosse un segno evidente del favore di Dio.
Inevitabile, ma probabilmente ingiusto, il paragone con il tarantiniano Django unchained, rappresentazione anche emotivamente indimenticabile della schiavitù e degli schiavi: ogni regista non può che essere se stesso.
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