Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Storia vera di Solomon Northup, musicista nero rapito a Washington nel 1841 e tenuto in schiavitù in Louisiana fino al 1853. Il film evita per quanto possibile di ricalcare gli stereotipi in stile Radici o Amistad: racconta la situazione anomala, per non dire assurda, di un libero cittadino americano ridotto in prigionia e mostra la schizofrenia evidenziata dalla frase di Thomas Jefferson “Tremo per il mio paese, pensando che Dio è giusto”. Fra i bianchi non c’è una gran differenza tra chi finge di non vedere per tacitare la coscienza e chi tiene la frusta in una mano e la Bibbia nell’altra: tutti trovano naturale considerare le persone alla stregua di merci e utilizzarne i corpi per i loro fini (sia come macchine da lavoro, sia come oggetti sessuali). Magari i personaggi sono un po’ schematici, ma il vigore rappresentativo è indiscutibile. In fondo anche la conclusione sbrigativa, con l’intervento ormai insperato di un deus ex machina che pone fine all’incubo, serve a definire la condizione degli schiavi nelle piantagioni: tutto, nel bene e nel male, dipende dal capriccio di fattori esterni. Però il truccatore deve aver lavorato al risparmio: non sembra affatto che il protagonista abbia passato 12 anni di lavoro duro.
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