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12 anni schiavo

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su 12 anni schiavo

di supadany
8 stelle

Forte di due opere apprezzatissime, arriva il momento del grande salto per Steve McQueen, con un soggetto in grado di colpire nel profondo, impegnato, ma anche appetibile ad un pubblico più vasto.

Una prova di maturità superata con successo, anche se questo (inevitabile) passo lascia qualcosa per strada.

Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) è un uomo nero libero e di successo, ma un giorno viene raggirato, rapito, privato della sua identità e ridotto in schiavitù.

Finisce sotto lo sfruttamento di diversi padroni, in un mondo con poca compassione (William Ford interpretato da Benedict Cumberbatch) e tanta violenza (John Tibeats interpretato da Paul Dano e Edwin Epps interpretato da Michael Fassbender), ma non perde la speranza di poter riabbracciare, un giorno, la sua famiglia e, correndo dei rischi, cerca di sfruttare la più minima occasione.

 

Chiwetel Ejiofor

12 anni schiavo (2013): Chiwetel Ejiofor

 

Titolo che va a rimpolpare l’affollata categoria di pellicole sulla schiavitù, ma che si avvale di un punto di vista che rende la situazione ancora più dolorosa, infatti si parla di un uomo che era libero all’interno di quella stessa società, con quindi il peso del ricordo, forte anche nei nostri occhi e che nei suoi si riflette indelebilmente.

Un tema che necessita di concretezza e scrupolo, un testo meticoloso, scritto dallo stesso Solomon Northup, fornisce basi solide per un percorso personale, e comunque anche di gruppo, che offre quanto di peggio si possa pensare, intervallato solo da brevi squarci di luce.

In questo panorama, viene meno la componente sperimentale di Steve McQueen, ma l’estetica rimane notevole, ad esempio la rappresentazione della natura, omnipresente, ricorda l’utilizzo che ne ha fatto negli anni Terrence Malick, questo anche grazie al fidato direttore della fotografia Sean Bobbitt, che proprio grazie alla sua collaborazione col regista ha trovato il lancio (meritatissimo) alla sua carriera. 

L’unica trascendenza, ma non è marginale, è affidata al personaggio del sodale Michael Fassbender, i suoi deliri di parole (si sente dalla parte di Dio, l’uomo nero è un oggetto per lui) e di azioni (senza pietà), tra odio ed alcol nei quali l’attore (grandissima interpretazione) appare trasfigurato.

In questa direzione, anche se in maniera minore, non scherza nemmeno Paul Dano, che interpreta un uomo “piccolo”, e non mi riferisco certo alla statura, ed iroso, ruolo secondario, ma altra parte da ricordare per l’attore.

A fare da contraltare c’è il protagonista di Chiwetel Ejiofor, i suoi occhi sono intelleggibili, con una grande determinazione, solo in parte soggiogata, per cui volere non è per forza potere, ma resistere è l’unica arma per darsi un possibile orizzonte.

Ed il lavoro d’insieme che vi è attorno alla recitazione (di alto livello) ed alla costruzione della storia procede di pari passo; una grande attenzione per l’aspetto storico-ambientale, costumi e luoghi, in più la colonna sonora firmata da Hans Zimmer (auto candidatosi a collaborare con Steve McQueen dopo aver amato i suoi primi due lavori), sa impennarsi, diventando quasi soffocante (vedasi il traporto in nave), ma anche toccare corde più lievi.

Non siamo probabilmente di fronte ad un’opera che sorprende, ma ciò sinceramente avrebbe avuto dell’incredibile, capace di rappresentare un mondo dove le qualità sono un demerito, con una consistente impossibilità di ottenere un aiuto (la scena dell’impiccagione di Solomon nell’indifferenza generale è indimenticabile, la migliore del film), senza far utilizzo della voce over, il che conferisce un’autenticità ancora più evidente e va aggiungersi ad i tanti aspetti che rendono quest’opera di alto profilo ed il suo autore tra i più attesi nei prossimi anni (anche se, pur lontano dai riflettori, era già così dopo “Hunger” (2008)).

Corposo e d’impatto assicurato.

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