Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
L’olocausto d’America sono stati gli indiani e la schiavitù dei neri. Abili a rimuovere la prima trave, con la seconda la Presidenza Obama ha avuto il merito di riequilibrare le cose, dare la dovuta importanza alla tematica dei diritti e a non dimenticare un passato (sempre troppo) recente e imbarazzante. Per il cinema non è un argomento inedito, però la vittoria all’Oscar come miglior film di 12 ANNI SCHIAVO ha reso giustizia anche in campo cinematografico. Lastoria vera di Solomon Northup narra di un violinista istruito nato libero e cittadino di Saratoga nello stato di New York. Egli fu rapito con inganno e deportato in Louisiana (stato del sud). Qui per dodici anni lavorò nelle piantagioni di canna da zucchero dapprima e di cotone dopo. Siamo nel 1840 e le differenze tra Nord e Sud stanno sostanzialmente nella deprivazione e nella schiavitù dei negri costretti a vivere e lavorare come bestie. L’odissea di Solomon - derubato anche dei documenti e strappato a moglie e due figli – comincia con torture e umiliazioni. Il mercante di schiavi Theophilus Freeman lo vende al padrone Ford, uomo sensibile e colto che ne coglie l’intelligenza e le potenzialità. Non è dello stesso avviso il crudele padrone in seconda e responsabile delle piantagioni Tibeats che con lui innesta una sfida in cui vorrebbe ammazzarlo. “Can’t truss it” come cantavano i Pubblic Enemy. Solomon riesce a scamparla ma Ford è costretto a cederlo ad un altro padrone perché l’uomo si è fatto una cattiva nomea. Edwin Epps è l’unico che lo accoglie. Questi incline all’alcol, ha un rapporto conflittuale con la moglie Mary per via del suo debole per la schiava Patsey di cui è innamorato. Northup dovrà mantenere un certo distacco per non compromettere la dignità e la speranza nella libertà. Dopo l’equivoco Armsby, sarà l’abolizionista canadese Bass, capitato nella tenuta Epps per un lavoro, l’uomo della provvidenza. Solomon finalmente libero riabbraccerà i familiari, tenterà invano di denunciare i suoi aggressori e si dedicherà alla causa per abolire la schiavitù dei neri d’America.
Il regista inglese, rivelazione di HUNGER e SHAME, Steve McQueen non si fa imbrigliare del tutto dalle regole e dai dettami di Hollywood. Mantiene la sua integrità e autonomia, mettendo semmai a disposizione della poderosa Mecca del Cinema la sua videoarte. Come ha raccontato lui stesso, anche 12 ANNI SCHIAVO “parla di incarcerazione dell’essere umano, fisica in Hunger, autoinflitta in Shame”. Applica i consueti tre tempi aristotelici, ribaltandone la prima parte del percorso: Solomon dalla condizione di libero entra nella caverna di Platone, tenendo vivo il suo intelletto, rischia, incontra vari ostacoli (il rispetto e la rassegnazione di Ford, Tibeats, i coniugi Epps, la dura prova interiore Patsey come in precedenza la Eliza addolorata per il distaccamento dai figli e il fuoco fatuo Armsby) e poco prima del premio finale ecco il medium, il messaggero dai capelli biondi Samuel Bass che ascolterà l’incredibile vicenda del protagonista e lo aiuterà. Alcuni passaggi sonori, inquadrature e paesaggi maestosi, scene esplicite e necessarie (per capire la brutalità dell’onta subita dagli schiavi di colore) di violenza sono la prova del valore aggiunto (di recente) al cinema mondiale dal nome meraviglioso di Steve McQueen. Il protagonista è il bravissimo e perfettamente in parte Chiwetel Ejiofor, la vincitrice dell’Oscar quale non protagonista Lupita Nyang’o è l’umiliata e offesa Patsey, l’odioso e debole Edwin Epps Michael Fassbender, l’impettita e subdola Mary Epps di Sarah Paulson, il Ford di Benedict Cumberbatch, il programmaticamente antipatico Freeman di Paul Giamatti e quello naturale Tibeats di Paul Dano, un attore pazzesco. Ottimo infine Brad Pitt, anche coproduttore di un meritato Oscal al miglior film 2014.
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