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12 anni schiavo

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su 12 anni schiavo

di maso
8 stelle

La drammatica storia di Solomon Northup tratta da un suo racconto autobiografico è stata messa in immagini con crudo realismo da un regista di grande avvenire come Steve McQueen, che ha avuto la buona creanza di non trattare l'argomento spigoloso dello schiavismo con patetismi o spettacolarizzazioni della trama, ma è rimasto con i piedi ben saldi al terreno per tutta la durata del film, evidenziando gli aspetti più vergognosi di questa barbaria sociale della vecchia America. 

Il quadro storico nel quale si sviluppa la trama è il punto forte del racconto: ci troviamo in una terra di mezzo, nel 1840, periodo nel quale in alcuni stati dell'unione la schiavitù era già stata abolita, ed in altri nei quali era ancora in vigore, proprio da qui nasce il contrasto fra i personaggi bianchi che popolano il film: alcuni di loro, molto pochi in realtà, avvertono che la legge che permette di esercitare abusi e maltrattamenti sui neri come fossero bestie sporca la loro coscienza ma la maggior parte di sembra essere malata dentro e l’esercizio razzista perpetrato a più livelli nei confronti dei neri sembra nascere più come sfogo delle frustrazioni che come vero accanimento, anche se non so quale delle due pulsioni sia la peggiore.

I primi aguzzini di Solomon sono i suoi rapitori, che si spacciano per artisti coinvolgendolo in una serata di bisboccia dalla quale si risveglia incatenato e non più nello stato di New York, dove viveva riconosciuto come onesto libero cittadino, colto benestante e con una rispettabile famiglia.

La lontana Louisiana dove lo schiavismo è quasi uno sport nazionale è il carcere a cielo aperto che accoglie Solomon e lo getta in pasto ai suoi abitanti, incarnazione di secondini spietati.

La carrellata di questi personaggi include il mercante di schiavi interpretato da Paul Giamatti che separa senza scrupoli una madre dai suoi figli perché i neri non sono altro che bestie da soma da trattare al mercato per il miglior acquirente, Paul Dano contadino completamente repellente dall’aspetto sudaticcio e dal razzismo straripante che incalza su Solomon suscitando il nervosismo nello spettatore per lo sfoggio di una prepotenza marchiana, il primo padrone di Solomon, interpretato da Benedict Cumberbatch, apparentemente un personaggio sensibile all’ignobile discriminazione e alle brutture che comporta ma in fondo nient'altro che una versione edulcorata e senza spina dorsale del personaggio di spicco del film interpretato da Michael Fassbender, perché non alza un dito per fare qualcosa ed è incapace di esternare apertamente il suo disgusto nei confronti di tale pratica.

Michael Fassbender nel ruolo di Edwin Epps è proprio l’incarnazione del male e funziona alla grande con i suoi occhi diabolici da aguzzino nazista e il suo agire nei confronti di Solomon e compagni non è solo schiavismo ma anche perversione sessuale, sadismo, frustrazione, alcolismo: tutto può essere sopito con una salva di frustate sulla schiena di un povero schiavo anche se il malcapitato non si è neppure reso colpevole di qualcosa che possa almeno giustificare tale gesto a livello logico.

In questo universo di frustate e soprusi Salomon non può far altro che sopravvivere piegandosi al volere dei bianchi e subendo le loro angherie, nell’attesa di un' occasione per dimostrare che secondo la legge lui è un uomo libero e ritornare tale senza bisogno di fuggire.

“12 anni schiavo” non assume mai il tono di un film d’azione per descrivere la ribellione del protagonista: Solomon non è Kunta Kinte che sognava di fuggire anche con un piede monco, il suo motto è “Sopravvivere” in attesa che la sensibilità umana prenda il sopravvento perché da quel giogo non si può fuggire finché la follia razzista soffocherà la mente dell’uomo bianco.

La scelta di McQueen di non rendere il film e il suo protagonista un simbolo di ribellione contro l’oppressione è il suo pregio più grande: gli permette di realizzare delle scene memorabili di difficile digestione, vivacizzate dal suo stile poco spettacolare ma molto efficace in cui muove la telecamera con intelligente naturalezza, ad esempio quando Solomon sta andando in città per le commissioni e incontra nel bosco un altro fattore che si appresta ad impiccare due schiavi in fuga: poco prima che si chiuda il ciak Solomon ha lasciato alle spalle quel quadro di morte che gli si parava davanti, è proprio in quell’istante che si tendono le corde e i corpi cominciano a dimenarsi in sottofondo.

Un’altra scena che dimostra come MaQueen abbia un talento registico molto promettente è quella in cui gironzola ondeggiante con la camera a mano intorno a Patsey legata al palo, mentre Epps passa la frusta a Solomon costretto a flagellare una sua amica ancora per sopravvivere; a conti fatti però si potrebbe dire che l’antieroe Solomon Northrup e il film che racconta la sua storia paga dazio a livello emozionale, anche il fatto di non essere particolarmente altalenante e viaggiare sulla stessa frequenza d’onda dall’inizio alla fine può essere un difetto ma sembra una scelta più che voluta.

I premi che “12 anni schiavo” ha ricevuto sono oggettivamente meritati, soprattutto quello a Lupita Nyong’o davvero superlativa nel ruolo della schiava Patsey che non vede altra soluzione che la morte al suo calvario, ma non è il capolavoro che ti fa uscire dal cinema strappandoti i capelli, è comunque uno dei pochi film che racconta con tatto e brutalità la brutta pagina dello schiavismo.

Chiwetel Ejiofor

Bravo ma un po' monocorde, sicuramente McQueen lo tiene al guinzaglio come uno schiavo ma lui non si prende la responsabilità di aggiungere del suo al personaggio e questo risulta un piccolo difetto nel film.

Lupita Nyong'o

Bravissima, credibile e commovente. Oscar meritatissimo.

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