Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Io avrei girato 1 anno schiavo, o addirittura 5 minuti schiavo, tipo l'incipit di The butler, con effetto devastante sull'utente che va a vedersi la commediola e si becca la revolverata in faccia.
Probabilmente è questo che frega le aspettative del fruitore medio dell'opera di Steve McQueen, che qui appare (Steve, non il fruitore medio) un onesto mestierante alle prese con qualcosa di già sviscerato in tutte le salse e dove l'unica soluzione di novità apparente è rappresentata dalla frustata in più o dal rantolo in sensorround.
Quel fruitore medio di cui sopra, non si aspetta certo la commediola (a meno che non vada al cinema estraendo a sorte la sala - e comunque ce ne sono -), per cui al buon Steve non resta che primipianeggiare sulle catene e sul cotone, sui solchi da frusta e sui negrieri stile Radici.
Django in questo, è volato mille anni avanti, pur occupandosi anche lui di Storia ormai archiviata.
Questi dodici anni spesso si riaccartocciano su stessi fino a diventarne trentasei agli occhi dell’utente popcornato, non si avverte quel processo di penetrazione allo stato “schiavo” di un uomo libero, si punta sull'effetto e molto meno sulla causa, manca l'introspezione ed anche le poche scene forti (come il rantolo da impiccato separato dalla morte solo dalla punta dei piedi) prendono spunto spesso da prologhi assolutamente insensati.
Sappiamo già, a dispetto di diversi incisi sottolineati a ripetizione, come la Bibbia soddisfi sia il boia che le vittime e lo percepiamo nel ridicolo personaggio vestito da Fassbender (che non recita neanche male, vista la parte del dissociato alla quale è stato destinato), con la cattiveria disegnata a grana grossa.
Era più intrigante approfondire il rapporto vittima/carnefice, spesso ribaltato tra Fassbender ed Ejiofor, o il mancato tentativo finale di quest’ultimo di affrancare dalla schiavitù anche la devastatissima Patsy.
E non può certo bastare ammansire lo spettatore facendogli sostenere lo sguardo svuotato di Platt perso nella telecamera e nella sua rassegnazione
Sarebbe stato più interessante far vestire gli abiti della carogna al pavido primo padrone del novello schiavo Platt, mentre invece assistiamo in serie a scenette falso umanitarie di “padroni bianchi” che si preoccupano dei loro schiavi considerandoli in realtà alla stregua di animaletti, e neanche di troppa compagnia.
Probabilmente non c’era bisogno di questa nuova epopea che gioca a chi digitalizza meglio le frustate.
Rimaniamo anestetizzati ben presto ed i caratteri della follia applicati a tutta la gamma del “bianco” sanno troppo di stereotipante stantìo.
Ma per fare cinema difficile ci vuole polso.
Altrimenti non si entra quasi mai nella cinquina dei Grandi Premi
Qui invece ci siamo portati un addomesticatissimo Oscar a casa,
al guinzaglio (quasi come Platt)
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