Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Se "American hustle" è il grande sconfitto della recentissima notte degli Oscar,e "Gravity",con le sue sette statuette ottenute (ma,a parte la regia,quasi tutti premi tecnici),il vincitore per la miglior pellicola è "12 anni schiavo",tratto da un romanzo autobiografico,di Solomon Northup:all'uomo,violinista afroamericano,nel 1841 capitò la sventura d'essere raggirato,rapito e venduto come schiavo.Capitato nelle mani di un mercante d'uomini cinico,il protagonista viene acquistato da un tenutario tutto sommato non crudele,il quale ha,però,sotto di sè,mezzadri vili e senza pietà,e dato che un moto di ribellione di Solomon ha messo a rischio la sua stessa esistenza,il signorotto deve cederlo ad un suo pari.Molto più spietato,toccato da una vena di follia,in perenne conflitto con la moglie,gelosa di una ragazza divenuta loro schiava.In effetti,l'uomo non sfugge ad una passione tenuta relativamente sotto controllo per la giovane donna,e le cose si complicano assai per le tensioni ribollenti tra i personaggi.Vincendo tre Oscar,tra cui miglior film e miglior sceneggiatura non originale,si può dire che il film dell'inglese McQueen,ha in effetti segnato un passo importante per la storia dell'Academy.Finora i film sul razzismo premiati da Hollywood avevano fatto discorsi validi,ma sempre sfumati,vedi "La calda notte dell'ispettore Tibbs" e "A spasso con Daisy",bocciando magari un titolo già più impegnato come "Il colore viola".La tragedia dello schiavismo,una delle vergogne occidentali più infami e difficili da seppellire,vive qui in tutta la sua ignobile dimensione:soprusi,famiglie smembrate e divise per mai più ricongiungersi,abusi di ogni tipo,schiene squarciate dalla frusta,collaborazionismo e viltà varie in nome della sopravvivenza.Perchè anche i pochi che vengono liberati,si lasciano immediatamente alle spalle l'inferno vissuto,senza il tempo,nè l'intenzione,di salutare quelli che fino a un momento prima erano compagni di disgrazia."12 anni schiavo" ha il merito,non di poco conto,di rifiutare la via facile alla commozione,di creare nello spettatore indignazione e compassione,e di non essere mai ricattatorio:l'unica scena in cui il pubblico può sentirsi spinto alle lacrime avviene nella chiusa,e neanche troppo spinta in tal senso.Del cast,ispirato e senza paura di sgradevolezze,molti i nomi noti in ruoli anche secondari (Paul Dano,Benedict Cumberbatch),o in parti brevi ma cruciali (Paul Giamatti,Brad Pitt,che del film è anche produttore),l'arrivo di un volto nuovo e interessantissimo come Lupita Nyong'o (premiata con l'Oscar) e la palma del più bravo se la giocano splendidamente Chiwetel Eijofor,finalmente alla prova con un ruolo da protagonista,che infonde nello sguardo di Solomon disperazione,voglia di sopravvivere,rabbia e mortificazione, e Michael Fassbender,alle prese con un "padrone" con frequenti scatti di follia,succube dei propri tabù e crudele all'occorrenza.Un film con impianto assai classico,ma che offre una crudezza di visione a tratti molto difficile da sostenere,ma meritevole degli elogi ricevuti.
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