Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Il titolo italiano promette un film sulla schiavitù infantile, invece si tratta della trasposizione cinematografica dell'autobiografia di uno schiavo di colore della metà dell'Ottocento negli Usa. E' il terzo lungometraggio diretto da Steve McQueen, la terza storia di un ribelle, a suo modo, come quelli rappresentati in Hunger del 2008 e in Shame del 2011; ed è anche la terza occasione su tre in cui compare Michael Fassbender, per la prima volta però relegato in un ruolo da non protagonista. La parte centrale è invece qui affidata a Chiwetel Ejiofor, mentre in un ruolo fondamentale per la storia, ma marginale dal punto di vista quantitativo della presenza in scena, c'è Brad Pitt. 12 anni schiavo può essere visto come una riproposizione del discorso di Django unchained (Quentin Tarantino, 2012), epurato però delle ironie e delle iperboli tipiche del regista di Pulp fiction; una storia di ricerca forzata della libertà nella quale, ed ecco l'elemento di maggiore distanza fra le due opere, la vendetta è solamente un espediente negativo, destinato ai perdenti e ai rancorosi. Ma in fondo quelli di McQueen sono eroi; quelli di Tarantino antieroi. Due ore e un quarto di durata tendono in effetti a sembrare eccessive, con una lunga parte centrale dotata di minor vivacità (caratteristica che ricorda Hunger) e con un finale forse licenziato con troppa fretta. La parabola - vera, in quanto tratta dall'autobiografia del protagonista, datata 1853; sceneggiatura di John Ridley - di Solomon Northup è in ogni caso già di per sè un inno alla fratellanza e all'abbattimento dei pregiudizi. 6/10.
Usa, metà Ottocento. Solomon Northup viene trascinato con l'inganno, dallo Stato in cui vive liberamente, in uno Stato in cui la schiavitù è ancora legale. Diventa suo malgrado operaio tuttofare per un bianco crudele e sadico, finchè - dopo 12 lunghissimi anni - non incontra un personaggio destinato a cambiargli la vita.
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