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12 anni schiavo

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su 12 anni schiavo

di giorgiobarbarotta
8 stelle

Nell'anno della scomparsa di Nelson Mandela esce 12 anni schiavo, il nuovo lavoro del talentuoso regista inglese Steve McQueen. L'omonimia con l'attore americano divenuto mito è ormai un ricordo lontano. Il videoartista dirige un durissimo atto d'accusa contro la schiavitù, aberrante istituzione giuridica, distorta e malsana ideologia e diabolico cancro etico e sociale nell'America di metà '800 (ma ricordiamoci che i diritti dei neri sono stati calpestati fino a pochi lustri fa…). Un violinista viene rapito con l'inganno, sottratto alla sua famiglia, incatenato e portato di forza a lavorare nelle piantagioni del sud razzista. L'inferno che vivrà sarà costituito dalla negazione di ogni forma di dignità, umanità, giustizia. La pellicola si pregia di un'eccellente fotografia e di lodevoli interpretazioni, su tutte il protagonista Chiwetel Ejiofor, credibilissimo tanto nella parte di uomo libero, musicista, quanto nello smarrimento e nella sofferenza della coercizione. Il fedele Michael Fassbender dà volto e corpo ad un proprietario terriero folle, sadico, di inaudita violenza. Paul Giamatti è un commerciante di schiavi il cui cuore ha la consistenza del freddo metallo e l'ampiezza di una moneta. I due scagnozzi ingannatori all'inizio della storia paiono un gatto e la volpe distorti e corrotti. Sarah Paulson è una padrona bianca tradita, incattivita dall'ignoranza e dalla gelosia, senza pietà alcuna e senz'anima. Lupita Nyong'o e Adepero Oduye sono vittime designate della crudeltà. Brad Pitt infine, anche produttore, assume le sembianze del lume della ragione, della speranza, del ritorno alla vita, del futuro che verrà. La mano di McQueen è ferma, ha il coraggio di indugiare, ha la freddezza di uno sguardo distaccato ma consapevole, osservatore della pazzia e dei patimenti dell'uomo. Due scene memorabili: quella dell'impiccagione e il faccia a faccia notturno a lume di lampada a petrolio. Non c'è la retorica buonista e calcolata di Il Colore Viola, né il barocco pulp western di Django Uncheined, solo un racconto tanto apparentemente algido quanto dannatamente efficace. Musiche all'altezza e spirituals da pelle d'oca. Tratto dall'omonima biografia, storia vera. La "trilogia del corpo" (Hunger, Shame, 12 anni schiavo) non può passare inosservata e si ritaglia un posto nella storia del cinema. Qualche Oscar probabilmente arriverà.

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