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12 anni schiavo

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su 12 anni schiavo

di OGM
6 stelle

Dopo Hunger e Shame, Steve McQueen e Michael Fassbender ritornano, per parlarci di un’altra fame, e di un’altra vergogna: quelle legate allo schiavismo, e raccontate in prima persona da uno dei pochi che, essendone le vittime, hanno potuto lasciarne una dettagliata testimonianza scritta. Solomon Northup era un afroamericano nato libero, a Saratoga Springs, nello stato di New York. Era un giovane colto e benestante: sposato, e padre di tre figli, aveva sempre lavorato duramente, come operaio e come musicista. Sapeva suonare il violino, e nella sua città si era creato una certa fama. In un giorno del 1841,  ricevette, da parte di due sconosciuti, una proposta particolarmente allettante: se li avesse seguiti a Washington, questi gli avrebbero procurato un ingaggio in un importante spettacolo. Accettando l’invito, Solomon cadde in una terribile trappola, che avrebbe sconvolto i successivi dodici anni della sua vita: drogato, incatenato, trasferito su una nave in Louisiana, venne veduto come schiavo e finì in una piantagione di cotone. Il film, drammaticamente intenso ed esplicito, non ci risparmia nessuno degli aspetti più atroci della mercificazione della carne umana: il suo sfruttamento economico e sessuale, la negazione della dignità individuale, le sadiche violenze corporali, il pieno potere sulla vita e sulla morte. Sono scene già viste infinite volte, che però non mancano di colpire la coscienza, ricordandoci come l’argomento, benché collocato in un preciso contesto storico e geografico, continui a riguardarci da vicino. La trasposizione cinematografica della memoria redatta dal protagonista (e rielaborata, in una edizione commentata, nel corso degli anni sessanta)  è un efficace resoconto di un oscurantismo culturale che serve l’interesse del più forte e si esprime in cieca crudeltà. Tuttavia il film non esce dagli schematismi narrativi del genere, che distinguono la società in poveri e ricchi, in bianchi e neri, in buoni e cattivi, senza sfumature intermedie, ma tutt’al più, un paio di ibride eccezioni (la nera promossa a signora, il bianco ridotto a  schiavo). Il realismo di denuncia si manifesta in potenti suggestioni che si appellano direttamente ai sensi, compreso quello del raccapriccio e del dolore fisico che, in certi momenti, sembra di avvertire sulla propria pelle.  La confezione, però, risulta spiccatamente convenzionale, priva di provocazioni e di sorprese, e si limita a riproporre il noto calcando la mano su uno scontato atteggiamento di condanna.  Il fenomeno dello schiavismo è presentato come se fosse anzitutto radicato nella particolare situazione  spazio-temporale, ed avesse attecchito soltanto  di riflesso nell’animo dei personaggi negativi: le considerazioni morali sono spazzate via da un predeterminato gioco di ruoli, che segue una prevedibile evoluzione verso la punizione e la ricompensa, ed il commovente trionfo di una illuminata giustizia. Il lungo incubo della prigionia sembra solo una buia parentesi nel sogno della libertà: l’effetto è rassicurante, ma, dopo tutto ciò che, nel corso dei decenni, è stato detto, il discorso non può certo più finire qui. 

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Ultimi commenti

  1. Carica precedenti
  2. lorebalda
    di lorebalda

    I primi dieci minuti di 12 Years a Slave (gli unici che ho visto, in una copia indecente) sono notevoli, puro McQueen, e sono anche molto attenti ad evitare la retorica dei flashback. Penso comunque che tutto il cinema di McQueen sia costruito a tavolino (l'ossessione del controllo), almeno in partenza: in fondo Hunger è il prototipo del film d'arte, così come Shame è il prototipo del film d'autore festivaliero. Il punto è come queste premesse vengano poi disattese: l'ordine è solo apparente. Su 12 Years a Slave in America si legge di tutto: la critica più tradizionalista lo esalta e parla di film "da far vedere nelle scuole" (questo mi preoccupa), mentre chi lo stronca parla di un film "gelido, estetizzante, poco emozionante perché il regista è troppo preoccupato della composizione formale". Le stesse critiche rivolte al precedente cinema di McQueen - e questa mi sembra una buona notizia.

  3. OGM
    di OGM

    Grazie a tutti dei commenti. A me il film sembra adagiato su scontati canoni morali e privo di vero inquadramento storico (il contesto è solo da intendersi come collocazione spazio-temporale). Deprecabile è soprattutto l'assenza di spunti di approfondimento critico, quasi che lo schiavismo fosse un fenomeno chiuso nell'archivio del passato, sigillato dalla certezza di una condanna inappellabile e dalla conseguente impossibilità di reiterare il delitto. I suoi elementi di crudo realismo colpiscono, ma il richiamo all'attualità del problema è un passaggio mentale che lo spettatore deve in fondo compiere da sé. Chi suggerisce di proiettarlo nelle scuole si lascia probabilmente fuorviare dalla struttura didascalica del discorso, funzionale ad una morale scolpita nel marmo, tipica delle storie di fronte alle quali non si può imparare nulla dalle domande emergenti in itinere, poiché l'unico insegnamento è quello enunciato nella inoppugnabile sintesi finale. Solo chi già "sa" è in grado di aggiungervi i dovuti corollari. Il racconto, di per sé, scorre senza punti interrogativi, e con qualche punto esclamativo non proprio originale che può forse emozionare, ma difficilmente sorprendere. Un'altra obiezione, di carattere estetico, e forse minore, riguarda il tono della narrazione. Una vicenda di schiavitù non può assomigliare ad un dramma sentimentale: deve essere la storia di una guerra primitiva, tra un istinto brutale che mira all'annullamento dell'essere e la forza della dignità umana che combatte per non farsi annullare. Temo che la sequenza presentata all'inizio del film - il tentativo di scrivere una lettera con un canna appuntita intinta nel succo di mora - sia l'unico momento nel quale questa idea si fa strada con la dovuta intensità letteraria. Vi è comunque insita una vena romantica che stenterà ad abbandonare la scena. Mi verrebbe da riassumere queste mie considerazioni con una formulazione decisamente stereotipata: il film non è brutto ma non convince del tutto. E questa frase fatta tradisce il carattere spiccatamente soggettivo del giudizio espresso. Steve McQueen è un regista cangiante? Sì, no, forse non so, probabilmente devo ancora capire. Magari rivedendo, e ripensando. Un caro saluto a tutti. E Buon 2014.

    P.S.: @lorebalda. Mi risulta che tra i "preview" disponibili in rete ve ne sia anche uno doppiato in spagnolo. Non ho altre informazioni a riguardo.

  4. lorebalda
    di lorebalda

    @OGM grazie della risposta approfondita (e degli auguri). Che sia un buon 2014 anche per te. Ciao.

  5. savick
    di savick

    Oscar come Miglior Film?
    Forse andrebbe alla fotografia anche se vi son film ben superiori.
    Diciamo il solito film, nulla di nuovo...

  6. OGM
    di OGM

    "Il solito film". Leggi: molto convenzionale. Perfettamente adeguato agli standard delle storie che piacciono all'America. A quella che ama vedersi raccontata, con ostentata sincerità, e conclamato rifiuto del buonismo. Ma senza rinunciare al rassicurante "happy ending", annunciatore di un presente glorioso, inondato dalla luce della libertà. Grazie del commento, savick, e un caro saluto.

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