Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Cieli plumbei avvolgono come in una patina paralizzante una metropoli canadese di cui poco importa conoscere le generalità. In un interno buio e dagli arredamenti essenziali una congregazione o setta segreta guarda con interesse una splendida donna seminuda che porta con sé un grande piatto da portata d’argento: salita sul tavolo, la donna scoperchia il vassoio, dal quale fuoriesce un enorme ragno nero, peloso e grasso.
Enigmi e complotti, di questo ne siamo certi, ma di null’altro di più. La vicenda infatti sui sposta nuovamente nelle atmosfere grigie (non solo metaforicamente) che avvolgono la vita di un giovane insegnante universitario, Adam, divorziato e dalla vita tranquilla e routinaria, occupata a dividrsi tra lavoro e una giovane e bella donna che frequenta da un po’(l’algida biondina Melanie Laurent).
Per vincere la noia dilagante nei momenti di solitudine, l’uomo si lascia convincere da un collega a visionare film in dvd. In occasione di una visione distratta Adam si imbatte con sconcerto in un attore, quasi una semplice comparsa che fa da sfondo alla scena principale, assolutamente identico a se stesso. Col fermo immagine si renderà conto che la somiglianza è sorprendente, e dopo accurate indagini, che gli faranno scoprire che l’attore abita non distante da lui e convive pure lui con una ragazza bionda (incinta però. E’ Sarah Gadon, già vista con Cronemberg padre e figlio), troverà il modo per contattare questo suo sosia perfetto, verificando che le somiglianze sono davvero inquietanti.
La ricerca spasmodica della verità, che l’uomo farà poco per volta vivendo con lo spettatore le inquietudini e le incertezze che trapelano sempre più sinistre da discorsi strani ed enigmatici, provenienti persino da persone fidate come la madre (Isabella Rossellini, gran dama che piace sempre rivedere), conduce il film verso tortuose ellissi che non presagiscono nulla di buono o positivo, ma sono l’inizio di un percorso tortuoso di autodistruzione che non riusciamo bene a comprendere se sia acuito da una potente e perfetta macchinazione, o nasca unicamente come prodotto di una follia della mente singola.
Dubbi, perplessità e inquietudini per i quali bisogna prepararsi ad avere poche risposte: meglio perdersi nell’attimo e nei misteri fumosi del momento, facendosi rapire dalle atmosfere fredde e sospese che la sinistra coreografia di sottofondo comunica.
Denis Villeneuve continua a piacerci e a convincerci anche quando nulla di una trama volutamente enigmatica ed evasiva (tutto il contrario dell’altro thriller efficace Prisonners, che forniva alla fine tutte – o quasi – le risposte necessarie) ci viene concesso in termini di spiegazioni e di chiarimenti.
Meglio allora lasciarsi prendere dai particolari, da un Jake Gyllenhall maturo e profondo che lavora nei particolari e nelle sfumature caratteriali per definire, meglio che può, ma senza esagerare - perché troppa chiarezza nuocerebbe al film – i tratti basilari di due uomini assolutamente identici fisicamente.
E l’ostinata ricerca, che non può che prenderci con premeditata ossessione, di noi spettatori di cercare di capire chi abbiamo davanti, ovvero se il professore Adam o l’attore sua copia esatta, ci sfianca, ma ci affascina, così come ripensare a certi dialoghi colmi di enigmi, di parole pronunciate a metà, di frasi non esplicitate che ci conducono sadicamente ad un percorso di definizione che solo un sacrificio può risolvere.
Tratto da un romanzo di Saramago, ma Dostoievski non è per nulla distante, il film ricorda a certa stampa francese le vicissitudini produttive e fallimentari di Polanski/Travolta/Adjani nel trasporre The double dall’autore russo.
A me questa storia labirintica e controversa, affascinante e piena di incognite, simbolismi, paure e tabù mentali, ricorda una delle prove più mature e convinte di Roger Moore nel buon e teso thriller psicologico “L’uomo che uccise se stesso”, ultimo film del veterano Basil Dearden.
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