Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Addentrarsi nei processi psichici di costruzione dell'identità è sfida ardua. Ciò che è prerazionale non può essere né compreso né espresso con gli strumenti della ragione. Per dare voce alle componenti primigenie della personalità è, anzitutto, necessario creare un linguaggio in grado di farlo. L'arte, per esempio, soddisfa questo bisogno espressivo. Ma se non si é 'creatori' semplicemente non si hanno le parole giuste e si rimane muti, o, peggio, si balbettano frasi senza senso. E questo è esattamente ciò che accade in questo film. La velleità di narrare la frammentazione e la ricomposizione dell'io naufraga miseramente nell'utilizzo di un linguaggio inappropriato, didascalico, incapace di suscitare anche semplicemente una vaga suggestione di verità. La pretesa di parlare dell'anima si risolve nella scialba esibizione della incapacità di farlo. Il disperato continuo ricorso a metafore scontate ed iconiche non è altro che una dimostrazione di impotenza. Il chiaro riferimento alla teoria psicanalitica della tripartizione dell'essere si risolve nella banalizzazione di un rozzo dualismo. A mio parere particolarmente imbarazzante è il continuo ricorso ad un animale-totem come il ragno nel tentativo di parassitarne la forza espressiva di archetipo comune a praticamente ogni forma di civiltà.
Certamente va lodato il proposito, il coraggio di trasporre cinematograficamente un capolavoro della letteratura, introspettivo e complesso. Certamente la fotografia è splendida e gli attori praticamente perfetti. Ma non basta.
Se 'il caos è un ordine non ancora decifrato' (cit.) questo film, non riuscendo a trovare alcun ordine, è solo caos, per di più pretenzioso.
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