Regia di Federico Veiroj vedi scheda film
Questo mediometraggio dello spagnolo Veiroj, è permeato di Cinema, trasuda bobine, mastica cineproiettori, schermi, visioni, rimandi, citazioni, e lo fa con mandibole antiche, fin dall'uso di uno splendido bianco e nero. E' un omaggio, certo, a chi, in Uruguay come altrove, di Cinema vive, il Cinema lo archivia e lo ama e lo porta, quasi, ad unica ragione di vita. E' il caso di quest'uomo, in apparenza mediocre, kafkiano, intrappolato negli archivi di una cinemateca di Montevideo, destinata, però, a cedere il passo alla modernità, al denaro, alla scomparsa. Il pubblico è poco, la rassegna dedicata al portoghese De Oliveira è un flop, i proiettori sono vecchi e malfunzionanti, e tutto ha decadenza, nel flusso continuo dei giorni. Rimane solo una speranza: vivere, finalmente. Vivere, magari, accompagnato dagli echi del Cinema quand'era arte, e la fuga di Jorge, dalle sale morenti, è verso la speranza di un amore, come in quei melò antichi di cui si è cibato per anni, che, e qui il cerchio si chiude, ha speranza di nascere, chissà, da un invito al cinema. Il film di Veiroj è un oggetto di pura devozione, che si muove con pacatezza e rassegnazione, e che necessita d'attenzione e tenacia. L'ora di durata è giusta, anche se mi è risultata ostica, più del dovuto. E' un film che ha le sue cose migliori nascoste nelle pieghe, e non sempre, se si perde l'attenzione, si riescono a trovare. Un film per resistenti, che richiede quindi spalle larghe, molto larghe. Bella l'idea, non convinto del tutto del risultato.
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