Regia di Federico Veiroj vedi scheda film
Il cinema si spegne e si accende la vita. Anche se la visione rimane in bianco e nero, accompagnata in sottofondo da una colonna sonora hollywoodiana, tale da far proseguire l'illusione. Per Jorge, che per venticinque anni ha guardato all'esistenza attraverso le pellicole proiettate nelle sale di una cineteca, c'è un filtro fatato che resta incollato sul mondo, cospargendolo di emozionanti suggestioni. Quell'uomo, semplicemente, non può rinunciare a quella particolare magia che lucida la superficie del reale eliminando la patina opaca della banalità. Quando la sede primaria di quell'incanto chiude i battenti per motivi economici, Jorge non si arrende alla fine del sogno, che continua a scorgere, nitido ed infallibile, tutto intorno a sé. Lasciando per sempre quel luogo, porta con sé, oltre ad un borsone carico di ricordi, l'idea che la finzione sia un dono artistico e geniale, capace di nobilitare la quotidianità, investendola di significati emblematici che si estendono oltre l'apparenza. La menzogna ha una funzione rivelatrice, è la chiave della nostra relazione con l'ambiente esterno. Una risorsa di cui tutti beneficiamo per intenderci meglio. Un codice che fa parte della cultura di base, e che tutti dovrebbero imparare a padroneggiare, esattamente come il linguaggio immaginifico dei film, che affida la propria espressività a precise strutture formali. Non conta tanto ciò che viene detto, quanto il modo in cui viene detto. La comunicazione è fatta di tecnica, che può diventare una barriera di indecifrabilità, se la maggioranza smette di studiarla. Il cinema rischia di ritrovarsi solo, isolato da un pubblico che non lo capisce più. In quel di Montevideo, uno dei suoi storici templi muore di abbandono. La residua fede di pochi amatori non è stata sufficiente a sostenerlo. Jorge è costretto a conservare dentro di sé la testimonianza di un universo su cui è calato il sipario. E a trasformarla in un'appassionata adesione al lato fantastico della normalità. Con questo suo secondo lungometraggio, il regista uruguayano Federico Veiroj si riconferma, dopo Acné, un sommesso poeta dei momenti di passaggio, nei quali è messo in discussione il rapporto triangolare tra la società, l'individuo e la dimensione ideale in cui vivono i suoi personali valori. All'interno di questo, le creazioni della settima arte potrebbero svolgere un compito di mediazione, se solo la gente fosse disposta e preparata ad ascoltare, con pazienza e cognizione di causa, le sue ragioni. Del resto tutta l'esistenza è una grande messa in scena, e basterebbe dimostrare la maturità ed il coraggio necessari a prenderne atto. Il pensiero di Jorge vola al di sopra della realtà, esattamente come quello di Rafa, in Acné, non fa che camminarle accanto. Entrambi sembrano incapaci di centrare il bersaglio dei loro desideri, almeno nel senso stabilito dalle logiche correnti. Un cinquantenne ed un ragazzo scelgono di muoversi dentro un mondo parallelo, da attenti osservatori del comportamento altrui. Fino a che, anche a loro, silenziosi spettatori dell'ermetico fraseggio del destino, tocca finalmente di scoprire, dentro il buio che li circonda, un miracoloso spicchio di libertà che esce dallo schermo, e nel quale possono vivere da protagonisti. La vida útil è un sobrio inno alla bellezza incompresa, che si nutre di ingenuità e si tira su con splendidi artifici, per riuscire a credere in se stessa, mentre tutti, sdegnosamente, ne decretano la vanità.
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