Regia di John Ridley vedi scheda film
Fresco di premio Oscar elargitogli con manica larghissima per la sceneggiatura di 12 anni schiavo, John Ridley fa il suo esordio dietro la macchina da presa raccontando Jimi Hendrix (ottimamente interpretato dal rapper André Benjamin) quando ancora non era una rockstar di livello mondiale. Ossia il biennio 1966-1967, durante il quale, dalle prime timide esibizioni in America, il chitarrista nero si spostò a Londra grazie al fiuto di Linda Keith (Poots), l'allora ragazza di Keith Richards (alla quale il Rolling Stone dedicò Ruby Tuesday), e alla scommessa che su di lui fece il bassista degli Animals, Chas Chandler (Buckey), inventandosi manager: fu così che Hendrix arrivò a suonare con uno stupefatto Eric Clapton, allora astro nascente del blues-rock, e a esibirsi davanti ai Beatles.
All is by my side è il film che non ti aspetti: ci sono poco sesso, droga e rock'n'roll, che pure nella vita di quel genio della chitarra ebbero una parte rilevantissima, e molto, moltissimo parlato, con disquisizioni che vanno dalla questione razziale (della quale il chitarrista di Seattle quasi sembrava non accorgersi) ai massimi sistemi. A differenza di altre biopic musicali incardinate di volta in volta sulla vicenda umana prima che su quella musicale (Control, su Ian Curtis; La vie en rose, su Edith Piaf; Questa terra è la mia terra, su Woody Guthrie) o sulla costruzione agiografica del mito (Quando l'amore brucia l'anima, su Johnny Cash; Ray, su Ray Charles) o, ancora, sul tentativo di farne un progetto originalissimo (Io non sono qui, su Bob Dylan), il film su Hendrix sceglie una strada straniata, dimessa, quasi appartata, lasciando fuori chitarre incendiate e Woodstock, e facendo apparire il suo protagonista come qualcuno che avrebbe scalato le vette più alte della notorietà quasi a sua insaputa.
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