Regia di John Ridley vedi scheda film
Experience: il nome della prima formazione costruita tutta attorno a Jimi Hendrix è l’unico appellativo possibile per qualcosa di tanto sfuggente, indefinibile. L’anima dolente del blues mischiata al fermento del rock’n’roll mentre qualcuno stiracchia l’etichetta dell’r’n’b per tirarci dentro questo ragazzo alto, dinoccolato e ramingo, la sua chioma ingombrante e maestosa, l’incendio (pure letterale, vedi Festival di Monterey 1967) che si propaga dalle corde della sua chitarra, mentre scala note e vette inesplorate. L’esperienza di Jimi Hendrix che suona, quella di chi lo guarda, quella di chi lo ascolta. Così John Ridley, fresco premio Oscar per la sceneggiatura di 12 anni schiavo, per raccontare Hendrix punta tutto sull’experience, prima di tutto d’ambiente e d’atmosfera, tentando di riversare su pellicola la carica elettrica che precede la tempesta. L’anno a cavallo tra il 1966 e 1967 è cruciale nella vita di James Marshall Hendrix (e non solo): gli occhi giganteschi di Linda Keith, modella in cerca di un’identità che oltrepassi la “fidanzata di Keith Richards”, lo avvistano al Cheetah Club di New York.
Lei gli presenta Chas Chandler degli Animals, che diverrà il suo manager, seguirà viaggio a Londra, fondazione degli Experience (metodo: lancio della monetina) e principio del Mito. L’indagine di Ridley è per forza di cose circoscritta: la famiglia non ha concesso i diritti neanche per uno dei brani originali del chitarrista, disconoscendo il film, e così ha fatto pure l’ex fidanzata Kathy Etchingham, soprattutto a causa di una scena di violenza nei suoi riguardi inconciliabile con l’animo gentile di Jimi. Non ha Hey Joe, Purple Haze e The Wind Cries Mary, John Ridley, ma può ripiegare sulle cover (The House of the Rising Sun, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band) per suggerire la distanza incolmabile tra gli altri (pur grandissimi) e Hendrix, la stessa che un esterrefatto Eric Clapton mette tra se stesso e il palco mentre là sopra Jimi improvvisa con i Cream.
E Ridley può contare anche su André Benjamin (o André 3000, metà del duo hip hop Outkast), che scompare sotto la pelle, i riccioli, gli abiti, le movenze e la parlata dell’icona, scansando costantemente la caricatura. Il risultato è sì impalpabile e Jimi appare spesso un’inconsapevole scintilla in balia degli eventi. Ma una leggenda tanto grande si può approcciare, in fondo, solo per frammenti.
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