Regia di Jonathan Teplitzky vedi scheda film
«Qui hanno girato Breve incontro, pare» dice il compassato Colin Firth alla sconosciuta Nicole Kidman, mentre il loro treno passa da una stazione del Lancashire. L’incontro, breve, è subito seguito da un altro, meno casuale, e presto convolano a nozze. L’idillio si squarcia con le urla di lui, un dolore fantasma che arriva dal passato, da quando era un giovane tenente dell’esercito britannico prigioniero dei giapponesi. La storia d’amore fra due solitari si apre come un sipario, restando poi solo ai margini, per dare spazio ai flashback: Eric Lomax (il film è tratto dal suo romanzo autobiografico), soldatino catturato dal nemico, nel 1943 è messo ai lavori forzati nella costruzione della Burma Railway, la ferrovia che l’impero nipponico edificò fra Thailandia e Birmania.
Un tentativo di evasione sfocia in una sadica sessione di torture, i cui tormenti, 35 anni dopo, sente ancora: un ex commilitone lo informa che il suo carnefice è vivo, e gli suggerisce che, forse, la giustizia vorrebbe che a ucciderlo fosse lui, Lomax. Romanzata il giusto, la vicenda del soldato inglese si trasforma nelle mani dell’insipido Teplitzky in un laccato pamphlet sul valore del perdono, racconto anticlimatico che perfino nelle più dure sequenze di prigionia non rinuncia alla fotografia patinata da affresco storico per cineforum con dibattito. Messe agli atti la sofferta intensità di Firth, in sottrazione in un ruolo spigoloso, e l’inespressività (irreversibile?) di Nicole Kidman, il resto si dimentica lungo i titoli di coda.
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