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Devil's Knot - Fino a prova contraria

Regia di Atom Egoyan vedi scheda film

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La recensione su Devil's Knot - Fino a prova contraria

di M Valdemar
4 stelle



locandina

Devil's Knot - Fino a prova contraria (2013): locandina




La tana di Law & Order.

È dove s'infila uno svogliato Atom Egoyan, svuotando la sua autorialità in favore di una sonnacchiosa dimensione paratelevisiva (e non a caso, tra i comprimari si possono notare diversi volti che affollano il piccolo schermo). Come del resto il (sotto)titolo italiano, involontariamente, suggerisce (Fino a prova contraria, già libera traduzione di True Crime di Clint Eastwood: si vece che piace).

Rinunciando quasi totalmente a indagare l'orrore (quello vero, nascosto dietro steccati immacolati e sorrisi candidi, e asservito alla causa/difesa della "normalità"), a scavare nelle psicologie (individuali e della massa), ad illustrare un quadro complessivo compiuto, ad azzardare una qualsivoglia direzione che non sia esclusivamente quella facile delle primarie reazioni emozionali, il regista di False verità si limita a riportare banali verità adagiandosi mollemente sui morbidi territori della convenzionalità.

Condizione tanto più evidente tanto quanto alcuni temi portanti (su tutti la caccia alle streghe e il tiro al bersaglio al "diverso") sono affrontati ed esposti con superficialità, buttando a casaccio esche (il satanismo e la musica metal, la risposta della collettività, la morbosa curiosità mediatica) nella speranza di raccogliere qualcosa di buono. Mentre al contrario l'attenzione è concentrata sui buoni pesci grossi: l'investigatore con una coscienza e la madre che si pone delle domande. In pratica guide e sguardo morale, della storia (e della comunità) l'uno, dell'istituzione-famiglia l'altra.

Oltretutto si spreca un sacco di tempo - quasi due ore - giacché il senso del film sta tutto nell'incontro finale proprio tra i due, sorta di spiegone/riassuntino inconsistente per modi e posticcio per tempi.

Egoyan pensa bene che per guadagnarsi la pagnotta e lasciare la sua impronta, il suo marchio d'inquietudine, basti inserire sporadiche nonché fatue riprese "naturalistiche" e accenni onirici, e affidarsi alle facce di Colin Firth (inquadrato di tre quarti con gli occhi del giusto che paiono scrutare nella natura oscura delle cose, solo che l'attore inglese appare spaesato come capitato sul set per caso) e alle faccette di Reese Witherspoon (che ricicla il suo repertorio, tra smorfie ed espressioni alla bisogna, spesso però fuori fase).


Quello che ne viene fuori, alla fine, altro non è che un compitino, un raccontino, un bignamino crime-drama-procedural ancorato strettamente ai meccanismi della specie (ma esiti senz'altro migliori hanno i vari SVU, CSI, Criminal Minds ecc.) di cui, francamente, non se ne sentivano affatto né la necessità né l'urgenza. Non costruito in tale maniera, non per una vicenda nota e della quale molto si è parlato (per via dell'interesse di personaggi famosi, in primis musicisti) e già oggetto di alcuni documentari.

Che conviene (ri)guardare, anche perché documentano l'inutilità di un'opera come Devil's Knot.



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