Regia di Atom Egoyan vedi scheda film
Quasi a voler chiudere una ideale trilogia sulle morti innocenti, premature ed ingiuste, ritroviamo finalmente, dopo un periodo non particolarmente ispirato, un Atom Egoyan stilisticamente quasi ai livelli dei tempi, tematicamente dolorosissimi, ma narrativamente e tecnicamente felicissimi, di Exotica e di Il dolce domani (ma anche il successivo riuscito Il viaggio di Felicia con l'appena compianto e straordinario Bob Hoskins, contribui' a rendere Egoyan uno dei miei registi preferiti degli anni '90).
Pur senza raggiungere mai i livelli notevoli di quegli anni, il regista armeno/canadese, ispirandosi ad un drammatico e terrificante fatto di cronaca del '93, ripercorre il mistero della sparizione a West Memphis di tre ragazzini, ritrovati il giorno dopo brutalmente torturati, legati ed assassinati nel fondo limaccioso di un piccolo rio nei pressi di una localita' boscosa, tetramente ed ahime' opportunamente nota come "il nascondiglio del diavolo".
Ed a tutti i costi il diavolo ci si convince possa averci messo lo zampino nel compimento di quel massacro, dato che la polizia, brancolando nel buio e tralasciando indizi solo piu' apparentemente difficoltosi da seguire, si convince a dare precedenza alla pista satanica, arrestando tre ragazzi fuori del comune quanto rispettivamente ad atteggiamenti, comportamento e quoziente intellettivo. Ma visto che un mite e laconico investigatore privato (Colin Firth) rigetta la possibilita' che dopo tre morti bianche possano seguirne altre tre grazie ad una legge giustizialista e sin troppo facilonamente colpevolista, per questo lo stesso decide di collaborare con i tre avvocati difensori dei tre ragazzi, cercando di far emergere la sconvolgente verita' o quantomeno le pecche nelle indagini troppo frettolose compiute dalle autorita'. Dalla sua parte, ma solo alla fine, pure la giovane madre di una delle tre giovani vittime (Reese Whiterspoon).
Molto, anzi sin troppo incentrato sull'aspetto giudiziario, al pari di molti legal thriller che hanno (a differenza di questo) segnato la storia del cinema, il film di Egoyan, - dopo un inizio coinvolgente in cui lo spettatore che ha imparato a conoscerlo inizia a perdersi con una certa nostalgia ed emozione tra le magiche riprese (anche in volo) dell'abile regista che abbiamo amato incondizionatamente - si dilunga troppo su un processo che, come ci insegna la cronaca, finira' nel modo meno giusto e con un finale aperto dal quale traspariscono piu' dubbi che certezze, e comunque la sconcertante imperizia nello svolgere un' indagine di una tale rilevanza. E se il cast comprende due premi Oscar noti ed apprezzati (uno, Colin Firth, a dire il vero piu' imbambolato ed inerte che mai, mentre Reese Witherspoon a contrario si fa apprezzare per credibilita' e capacita' di rendersi fisicamente piu' sciatta e qualunque in aderenza ad un ruolo di madre sottoposta a doloroso calvario), piace rivedere, in parti minori ma fondamentali, gli attori feticcio di Egoyan, ovvero Elias Koteas e Bruce Greenwood, mentre il giovane e gia' affermato Dane DeHann e' un sospetto trascurato davvero in parte, cosi come l'emergente James Hamrick, nel ruolo del sanatista ricoperto di ogni colpa e peccato, ci ricorda una versione maschile del bel viso contrastato da pallore epidermico e capello corvino della indimenticata studentesa-spogliarellista di Mia Kirshner in Exotica.
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