Regia di Atom Egoyan vedi scheda film
West Memphis, cittadina di 25.000 anime dell'Arkansas, pur sembrando un posto tranquillo e “normale”, ha il triste primato di 3 volte la media nazionale di reati violenti. Ma nessuno si sarebbe mai aspettato quello che avvenne il 5 maggio 1993, e nemmeno ciò che ne seguì.
Nel pomeriggio arrivò alla Polizia la segnalazione preoccupata del proprietario di un bar sulla statale: un uomo ferito e sanguinante e coi vestiti infangati era andato in bagno a ripulirsi; poi se n'era andato, ma aveva lasciato ampie tracce. La segnalazione venne accantonata in capo a pochi minuti, quando scattò un altro allarme: tre bambini di 8 anni usciti in bicicletta dopo la scuola non avevano fatto ritorno a casa. Nel bosco ai margini dell'abitato il giorno dopo vennero ripescati dal fondo del fiume i tre corpicini nudi, incaprettati e sottoposti a sevizie.
Abituati a un livello molto più basso e comune di reati, gli investigatori locali non ebbero l'umiltà di chiedere aiuto ad altri più esperti, al punto che aspettarono 6 giorni prima di chiamare la Scientifica dalla capitale. Sotto la pressione di un'opinione pubblica conformista e bigotta e di alcuni capi religiosi fanatici, diressero nel giro di pochi giorni la loro attenzione verso tre liceali emarginati, due di 16 e uno di 18 anni, quest'ultimo pregiudicato per piccoli reati. Damien Echols, Jason Baldwin e Jessie Misskelley da allora sarebbe stati conosciuta come "i Tre di West Memphis". Invisi alla comunità per i loro atteggiamenti strafottenti, per l'abbigliamento dark e perché cultori della musica heavy metal e dei libri di Anne Rice, tutti si dicevano convinti che aderissero a qualche setta satanica. Si presentò infine alla Polizia una donna con un figlio compagno di scuola delle tre vittime: il bambino testimoniò in video di avere seguito di nascosto i tre compagni nel bosco e di averli spiati durante un incontro con tre ragazzi più grandi, che li legarono e li sgozzarono; e che dopo averlo scoperto lo avevano obbligato a berne il sangue.
Ne nacque un vero circo mediatico, con centinaia di ore di trasmissioni sulle tv locali e nazionali, che durò mesi. I tre arrestati, uno dei quali era un minorenne ritardato mentale che confessò dopo 17 ore di interrogatorio senza la presenza di un avvocato, vennero processati e condannati: all'ergastolo i due minorenni e alla pena di morte il maggiorenne. Eppure non c'era uno straccio di prova: niente dalle perquisizioni domiciliari e su 1.300 reperti sottoposti a perizia legale non un riscontro venne trovato con i tre imputati. Vennero invece ritenute non interessanti tracce del sangue di uno dei bambini sul coltello del padre, e prima la sparizione, poi la misteriosa ricomparsa dell'inseparabile temperino di un altro dei piccoli nella cassetta degli attrezzi del patrigno.
La segnalazione del padrone del bar fu totalmente ignorata, nessuno analizzò i campioni di sangue prelevati svogliatamente dal bagno, che addirittura andarono persi, e la pista fu del tutto trascurata. La confessione, subito ritrattata, venne considerata veritiera nonostante i numerosi errori e contraddizioni, come l'uso di una corda usata per legare i bambini: non era vero, furono usati i lacci delle loro scarpe; e l'orario dei fatti, prima a mezzogiorno, poi la sera; e un'automobile inesistente. Il giudice, non corrotto ma scandalosamente di parte, permise che brani fuori contesto della testimonianza registrata del piccolo testimone venissero usati come prova dall'accusa senza possibilità di contraddittorio, e ammise come valida la testimonianza di un unico “specialista in satanismo” laureato per corrispondenza, niente psichiatri o esperti veri. Il resto del danno lo fecero i giovani e totalmente impreparati avvocati d'ufficio.
Questa lunghissima premessa nasce dal fatto che di tutta questa rumorosissima vicenda da noi non arrivò neppure un'eco - e non è finita qui. Dopo la conferma di sentenza in appello nel 1994 partì un vasto movimento nazionale finalizzato alla revisione di quella sentenza vergognosa. Mara Leveritt, nota giornalista investigativa, pubblicò un libro-denuncia, dopodiché personaggi come Eddie Vedder, Wynona Ryder e Johnny Depp organizzarono eventi per raccogliere fondi per la difesa. Furono pubblicati diversi libri e girati ben quattro documentari: dal premiatissimo Paradise Lost, prodotto nel 1996 da Hbo, 150 minuti di testimonianze anche inedite, fino al recente West of Memphis, prodotto da Peter Jackson e presentato al Sundance 2012.
Per quale ragione allora, dopo quasi vent'anni di cancan mediatico, qualcuno ha sentito l'esigenza di girare un prodotto di fiction sull'argomento? Per quanto mi riguarda resta un mistero. Nel corso degli anni uno alla volta e con grande risonanza tutti i testimoni ritrattarono pubblicamente, compreso il bambino superstite ormai ventenne: era stato indottrinato dalla madre, con precedenti per taccheggio, che voleva ingraziarsi la polizia. Infine il 19 agosto 2011, poco prima di iniziare le riprese di questo film, aggrappandosi ad un cavillo giuridico disusato ma che avrebbe permesso di risparmiare ulteriori cattive figure, i “Tre di West Memphis” dopo 18 anni vennero clamorosamente scarcerati. Ce lo annuncia un cartello alla fine del film – e a maggior ragione ci fa porre domande sulla necessità di un'impresa del genere.
Basandosi sul libro della Leveritt gli sceneggiatori Scott Derrickson e Paul Harris Boardman (L'esorcismo di Emily Rose) hanno scelto la via di un procedural di stampo televisivo, seguendo i punti di vista di due personaggi: l'investigatore privato Ron Lax (Colin Firth), uomo perbene contrario alla pena di morte (“Quando vedo una città perdere tre dei suoi figli e sacrificarne altri tre per vendetta la prendo sul personale”) che offrì pro bono i propri servigi e la propria esperienza alla disorientata e maldestra difesa. E quello di Pam Hobbs (Reese Witherspoon) madre di una delle piccole vittime che, scemata l'iniziale disperazione, già durante il processo prese posizione contro il pressapochismo e i pregiudizi degli investigatori. Firth, come tutti noi europei, era totalmente ignaro della storia, e appare un po' spaesato nei suoi panni da gentleman inglese in mezzo a quei chiassosi proletari meridionali. Va meglio la Witherspoon, nativa di Nashville, Tennessee, che certo si è più facilmente immedesimata in una grassa massaia dell'Arkansas.
Buone le performance del resto del numeroso cast, dai televisivi Stephen Moyer di True Blood e Matt Letscher di Scandal e Carrie's Diaries, da Rex Lynn di C.S.I. Miami per la 99ª volta poliziottoai veterani Bruce Greenwood ed Elias Koteas.Una lode particolare ad Alessandro Nivola, il viscido marito di Pam, e a Kevin Durand, uno dei padri. Sprecato in una parte minuscola l'ottimo Dane DeHaan, mentre l'inespressivo James Hamrick dal suo ruolo di Damien Echols sembra adatto solo a una carriera di “giovane vampiro”.
Atom Egoyan è un grande regista, e una delle caratteristiche peculiari dei suoi film – penso a IL VIAGGIO DI FELICIA o a FALSE VERITA' - è l'indagine sulla sottile linea che separa verità e menzogna, la ricerca delle ragioni più sottili della crudeltà umana, quasi volesse fare autopsie del dolore. Qui svolge bene il compitino, ma è fin troppo rispettoso e prudente, si limita a documentare senza prendere posizione. Davanti a temi esplosivi come la superstizione, l'influenza della religione sulla vita civile, il marciume della provincia americana, la corruzione e l'incapacità della polizia che hanno creato uno dei più clamorosi errori giudiziari della Storia, sviluppa scolasticamente un soggetto per una volta non suo dando vita ad un film interminabile e gelido, che nonostante l'argomento non riesce ad essere mai appassionante né commovente. Spiace che abbia messo con risultati così mediocri le sue grandi capacità al servizio di un'operazione vagamente morbosa e decisamente superflua.
Visione del film raccomandata esclusivamente agli estimatori di Bruno Vespa e dei suoi plastici, tutto quello che c'è da vedere è nei 2 minuti del trailer
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