Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film
U.Seidl chiude la trilogia del paradiso con la speranza, in maniera forse inattesa e meno cruda di quanto ci si possa aspettare da lui. La tredicenne sovrappeso Melanie viene inserita in un centro di dimagrimento per adolescenti, dove sotto la guida di adulti professionisti dovrebbe dimagrire e cominciare a prendere coscienza del proprio essere, in termini di salute fisica. Seidl mescola amabilmente i suoi ingredienti preferiti, il disfacimento fisico è conseguente di quello morale e le nuove generazioni non sono altro che lo specchio di un degrado inarrestabile del mondo adulto. Nonostante il regista ami gli eccessi, stavolta li dosa con più rigore, e non sarà centrale la scoperta della sfera emotiva e sentimentale di Melanie che è quella di un'adolescente preda delle pulsioni e delle contraddizioni tipiche della sua età . Lo sguardo di Seidl accomuna il mondo della ragazza con la figura del medico del centro che svilupperà con lei una relazione piena di ambiguità. Seidl è interessato ad una messa in scena entro la quale la mercificazione culturale della “società dello spettacolo” trova alcuni dei suoi riferimenti, la cura del corpo, la disciplina interiore indotta da un potere riconosciuto, la ricerca di un benessere precostituito, l’appagamento sessuale quale motore dei bisogni inespressi. I personaggi sono niente altro che pedine di scambio fra questi falsi miti, sono unicamente dei corpi, materia che fa parte di un processo di disumanizzazione entro il quale deve fare i conti con il proprio sconforto, come scatole vuote proiettate verso modelli esistenziali svuotati da significati comprensibili. I dialoghi stessi fra Melanie e il dottore sono del tutto inconsistenti, privi di un vero e proprio filo comunicativo, lo stesso si ripete con le telefonate a vuoto con la madre che non risponde, e in qualsiasi situazione che sottolinea la mancanza di un contraltare alle proprie parole (unica eccezione il rapporto con le compagne del centro che per sua natura non può che essere incompleto, immaturo). Paradise hope sfida lo spettatore nei suoi pregiudizi morali, il film con un andamento lineare rimette costantemente in discussione ciò che è appena accaduto, ma sempre nel contesto generale del racconto senza scavare a fondo nella testa dei protagonisti. Questo aspetto determina rispetto ai due capitoli precedenti della trilogia, un impatto minore nei confronti delle immagini e della misura in cui i personaggi vengono percepiti, anche la rinuncia a qualche passaggio forte che questo regista predilige abbassa lievemente la tensione morale che ha attraversato la visione dei tre film, e nonostante sia frutto di una scelta precisa i messaggi di un’ipotetica speranza e quello nichilista e pessimista appaiono più contenuti che rappresentati.
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