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L'uomo con i pugni di ferro

Regia di RZA vedi scheda film

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La recensione su L'uomo con i pugni di ferro

di M Valdemar
6 stelle

La materia di cui sono fatti i sogni di RZA si concreta in L’uomo con i pugni di ferro: esibizione forzuta e fiera del suo caotico stracolmo bagaglio di conoscenze, desideri, ambizioni, (sotto)culture.
Ma anche una (sovra)esposizione fatalmente presuntuosa.
Se proprio qualcosa inceppa quella che è una simpatica bellicosa macchina d’intrattenimento (e null’altro), ebbene quel qualcosa, o meglio quel qualcuno, è RZA medesimo. Non contento di scrivere, produrre, dirigere, invitare alla festa amici di un certo peso (QT presenta …), gli viene in mente anche di recitare il ruolo di protagonista. Che tra l’altro in sostanza è, almeno sulla carta e date le traversie che lo hanno colpito (la schiavitù conosciuta da giovane) e che continuano a perseguitarlo (l’amata barbaramente assassinata), l’unico che dovrebbe possedere un minimo di spessore drammatico.
Invece.
Invece RZA attraversa il (suo) film con aria imperterrita e fare svagato, incapace di accennare un benché minimo accenno di espressività quanto di rendere la tragedia che come un falco sull’agnello morente sul suo personaggio incombe.
Accolto tale limite, e accettato (non che ci sia altra soluzione), va però detto che la sua opera “totale” fa centro: diverte, si lascia guardare che è un piacere, non stufa (la durata è insolitamente “contenuta” visti i tempi che corrono), tiene desta l’attenzione, ammicca intelligentemente a più riprese e in più direzioni (chi si esalta con le coreografie e le lotte, o quelli che - giustamente - si stropicciano gli occhi di fronte a cotanta fiera di bellezze orientali).
Merito, sia di un impegno e di una partecipazione evidenti, anche del manipolo di “complici” di cui (intelligentemente) si è circondato.
Da annoverare in tal senso innanzitutto il reparto attori. Russell Crowe è fermo che più fermo (e gonfio) non si può; in teoria dovrebbe essere un tizio fortissimo, guerriero astuto e letale, in pratica lo interpreta senza che nemmeno per un secondo risulti credibile. Non che la cosa importi granché: si vede che si è divertito parecchio, e riesce a trasmetterlo, in fondo è solo un ingranaggio (luccicante) del meccanismo che tiene lo spettatore con lo sguardo attaccato allo schermo.
Attorno al (fu) gladiatore si muove una composita efficacissima ammucchiata di star cinesi (Daniel Wu; il mitologico Gordon Liu), presenze femminili di indubbio fascino (capeggiate dalla Madame Blossom di Lucy Liu e dalla - a dir poco stupenda - Jamie Chung), camei tarantiniani (Pam Grier, madre del protagonista, si vede in una scena in flashback; ma anche Eli Roth), e persino un wrestler imponente come Dave Bautista.
Affidando le coreografie dei combattimenti nelle sapienti mani del maestro Corey Yuen e la direzione della fotografia a Chan Chi Ying, manipolando musiche con una sorta di ibridazione hip hop e sonorità tipiche dei film orientali di arti marziali, imponendo il consueto crescendo narrativo - il caleidoscopico mondo di RZA pulsa tra esplosioni pop (i colori pastello del bordello di Madame Blossom), rigurgiti splatter (fiumi di sangue, teste mozzate, occhi che trotterellano fuori dalle orbite), componenti soprannaturali e l’immancabile sete di vendetta (che non può non avere una prevedibile parabola e sottostare a regole ferree).
Poi ci sarebbe la storia.
La storia. Cose da fabbri (in tutti i sensi), di caccia all’oro, di cattivi, di trame infide, di tradimenti, di rivincite, di gloria.
Puro pretesto, ovvio, per scatenare gli elementi in una sinfonia bastarda e traboccante (effetti visivi, auditivi), grezza e ipercromatica, maschia e violenta, a rapido consumo e affamata.
Insomma, un gran casino. Ma assai divertente.

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