Regia di Marina Zenovich vedi scheda film
E' un appassionante documentario su una vicenda controversa, che non può essere tagliata con l'accetta. La regista ricostruisce gli eventi con l'ausilio di materiale di repertorio e di interviste ai protagonisti del caso giudiziario (soprattutto il pubblico ministero e l'avvocato). Però il film racconta abbastanza bene anche la vita di Polanski prima del fattaccio: si parla anche della sua carriera europea, cioè in Polonia e Inghilterra, e poi della sua attività negli Stati Uniti, dove si era guadagnato un'enorme popolarità. La parte centrale è tutta dedicata alla vicenda giudiziaria, e il finale racconta brevemente della successiva parte della sua vita in Francia.
E' una vicenda controversa, come si diceva, sia per le circostanze del fatto, che la biografia di Polanski prima di esso. Dopo un'infanzia difficilissima, in cui aveva perso entrambi i genitori in campo di concentramento, il regista si stava rifacendo una vita negli Stati Uniti, e piano piano stava ricostruendo un'esistenza tranquilla. Si era sposato felicemente con Sharon Tate, e il matrimonio andava a gonfie vele. Quando lei era incinta del loro primo figlio, fu brutalmente assassinata dai membri di una setta satanica, con non altro scopo che quello di rendere culto al demonio. Il colpo per Polanski fu tremendo, e, come per riflesso, iniziò a vivere una vita superficiale evitando i sentimenti per le donne. Forse anche per questo cercava esperienze fugaci e solo fisiche, come quella che fece nel 1977 con una tredicenne e che divenne oggetto del processo. L'intenzione era un servizio fotografico, ma poi il fotografarla anche nuda in vasca da bagno, l'asciugarla, lo scherzarci, e cose del genere è stato come giocare coi fiammiferi in un fienile. L'imprudenza fu di lui a spingersi così in là, ma anche della ragazzina, che come minimo si espose moltissimo, e in modo consensuale, al rischio. Poi spuntò anche qualche pasticca, e il quadretto fu completo.
Solo Dio sa le attenuanti e le aggravanti di Polanski per quello che ha fatto, e, se si può giudicare l'atto in sé, è bene sospendere il giudizio su di lui e la sua coscienza. Comunque il regista ha sempre ammesso le sue responsabilità, accanto alla sottolineatura che non si trattò di stupro.
Quanto alla ragazzina, non era vergine, e allora viene da chiedersi: chi era stato o chi erano stati gli altri? Qui emerge un altro tasto dolente dell'intera vicenda, cioè la strumentalizzazione del processo a fini mediatici, perché l'imputato era famoso. Infatti, una buona parte del documentario si sofferma anche sul pessimo modo in cui la giustizia statunitense gestì il caso. Esso fu affidato ad un giudice mitomane, che teneva moltissimo alla spettacolarizzazione del processo e alla presenza dei media. Anzi, per ogni decisione che doveva prendere pensava prima anche a quale sarebbe stata la loro reazione. Tutto era meno che libero e obiettivo, e tentò pure di aggiustare il processo a tavolino col pubblico ministero e l'avvocato. Esasperato da questo clima e dai continui tira e molla del giudice, che non sapeva che pesci pigliare, e dopo 42 giorni di galera, Polanski fuggì in Europa, da dove non è più tornato.
Allo stato attuale, gli Stati Uniti offrono al regista una specie di grazia a patto che accetti la presenza della televisione all'udienza in tribunale. La proposta non è stata accettata. Quanto alla donna, gli ha offerto pubblicamente il suo perdono.
In generale, è un documentario ben costruito, che tenta di mettere a fuoco una vicenda complessa. Non è una difesa a spada tratta dell'accusato; si critica però la gestione del processo da parte della giustizia americana.
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