Regia di Lucía Puenzo vedi scheda film
Terzo film di Lucia Puenzo, regista e scrittrice argentina che in Italia si cominciò a conoscere nel 2007, grazie al film XXY ,titolo che alludeva all’errore cromosomico all’origine delle sofferenze di un giovane ermafrodita. Il secondo suo film era uscito da noi solo in DVD.
In quest’opera, dal romanzo da lei stessa scritto, la regista racconta ciò che avvenne negli anni ’60 in Argentina, ai tempi di Peron, quando il governo aveva accolto a braccia aperte alcuni noti e famigerati gerarchi nazisti sopravvissuti alla sconfitta di Hitler, permettendo loro di soggiornare nel sud della Patagonia, in un bellissimo e poco abitato sito, che pare quasi alpino, di montagne, di nevi e di laghi.
Il governo peronista consentì persino che i nazisti si riorganizzassero, creando una scuola, una biblioteca e proseguissero, senza dar troppo nell’occhio, l’opera di propaganda del razzismo hitleriano. Nella loro comunità, trovarono spazio e ospitalità anche Eichmann, il meticoloso “contabile della morte” di Auschwitz e Mengele, il medico fanatico e spietato, che sempre ad Auschwitz sperimentò, sulla carne viva delle donne incinte e dei bambini ebrei o zingari, prima di ucciderli, farmaci per l’aumento della statura e per favorire le gravidanze gemellari. Eichmann, catturato in seguito alla caccia ai criminali nazisti avviata dai servizi segreti israeliani in tutto il mondo, fu portato in Israele, processato e condannato a morte. Mengele, pur ricercato e individuato da una donna, la fotografa impiegata nella biblioteca della scuola tedesca di Bariloche, riuscì a farla franca sfuggendo alla cattura, poiché altri stati sudamericani lo accolsero (Paraguay, Uruguay, e Brasile dove morì, a quanto pare per cause naturali, nel 1979 all’età di 67 anni.
Lucia Puenzo seguendo le linee tracciate nel romanzo – tradotto in italiano e pubblicato da Guanda col titolo di Wakolda – ci parla del soggiorno dello spietato Mengele a Bariloche, dove era riuscito a introdursi nella vita di una famiglia, guadagnandosi la fiducia incondizionata di una ragazzina di nome Lilith, disposta ad assumere qualunque farmaco pur di trovare rimedio alla bassa statura. Il film, dunque, assume le caratteristiche di un inquietante horror, soprattutto perché il dottore era gentile ed educato, quasi affettuoso con la bambina e sembrava preoccuparsi davvero dei suoi problemi.
Il consenso materno alle “cure sperimentali” non mancava; quello paterno, invece, non ci fu mai, perché il padre, diffidente nei confronti dello strano dottore, era stato tenuto all’oscuro della vicenda, così come era all’oscuro che anche la gravidanza (gemellare) della moglie venisse seguita farmacologicamente da questo medico. D’altra parte, per non suscitare sospetti, il dottore aveva assecondato con molto zelo la passione del padre per le bambole meccaniche, incoraggiandone la produzione: tutte uguali, tutte bionde, con gli occhi azzurri, bellissime e perfette…
Film da vedere, sia perché ci permette di comprendere quanta ignoranza e quanta faciloneria fossero alla base delle affermazioni sulla purezza del sangue e della razza, sia perché aiuta a ricordare che gli orrori e le efferatezze del nazismo trovavano la loro “giustificazione” proprio in quei banali luoghi comuni, promossi al rango di scienza.
Che, come molti commentatori hanno scritto, sia un film di contenuto e che stenti a trovare una “forma” convincente (o per lo meno unitaria) è certamente vero, ma qui il contenuto è così importante per me da orientarmi ad assegnare quattro stelle, anche considerandone l’attualità, poco prevedibile al momento dell’uscita del film.
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