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The German Doctor

Regia di Lucía Puenzo vedi scheda film

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La recensione su The German Doctor

di OGM
8 stelle

Helmut Gregor è Josef Mengele. Wakolda è il nome di una bambola perfetta, dai lineamenti dolci e regolari: una meraviglia prodotta in serie, come l’esercito di una razza superiore, creato apposta per stupire il mondo. La fuga in Argentina del medico di Auschwitz  è la prosecuzione di una mostruosa utopia, rincorsa con le nozioni della ricerca genetica e con quel terribile strumento d’indagine che è la sperimentazione sugli esseri umani. Il dottore venuto dalla Germania stringe amicizia con una famiglia incontrata per caso, durante il viaggio, e che decide di continuare a frequentare, attratto dalla possibilità di studiare due suoi componenti, che si presentano come casi particolarmente interessanti: la piccola Lilith, nata prematura, affetta da un evidente ritardo nello sviluppo, e sua madre Eva, che è incinta di due gemelli, e che, tra l’altro, parla fluentemente il tedesco. Helmut conquista la loro fiducia, sottoponendole a trattamenti che, proposti come cure, sono in realtà pratiche rischiose, finalizzate principalmente all’acquisizione di dati clinici. Josef non può rinunciare al suo sogno, nemmeno adesso che vive in clandestinità in un Paese straniero, sotto la costante minaccia di essere catturato dai cacciatori di nazisti e deportato in Israele, dove lo aspetta una condanna alla pena capitale. La sua coerenza è incrollabile, poiché è saldamente intrecciata alla passione scientifica, che anima la sua individualità egocentrica,  e all’ideologia politica, che lo fa sentire parte di una missione collettiva, riservata a pochi, orgogliosissimi eletti. La sua visionarietà è l’impronta indelebile di un’era di cinica esaltazione della bellezza, in cui il desiderio di difendere e moltiplicare il meglio procedeva di pari passo con il gusto di distruggere il peggio, il brutto, il debole, l’incapace. La fiamma di questa euforia di massa, una volta cancellato il finto paradiso del Terzo Reich, è diventata un incendio che brucia lentamente, e si lascia trasportare, dal vento, lontano dalla sua origine, per spargersi nei quattro angoli del pianeta, e formare qua e là tanti piccoli, solitari focolai. Mengele era uno di questi errabondi tizzoni dell’inferno. La scrittrice e regista argentina Lucía Puenzo, nel suo libro e nel film che ne ha tratto, lo vede come un personaggio tragico,  ardentemente attaccato allo spettro della morte, ma refrattario a quello del declino. Il senso della fine è lo spirito che guida la sua volontà di non arrendersi al trionfo della pace incondizionata,  e della vita come un inalienabile diritto ad esistere, per restare fedele al principio secondo cui la salvezza non è per tutti, e la si conquista facendo la guerra. Lilith, che è troppo bassa per la sua età, deve aumentare di statura ad ogni costo, anche se le iniezioni di ormoni le procureranno dolore e la faranno ammalare. E Nora Eldoc, la fotografa e bibliotecaria inviata dal Mossad, è un nemico che occorrerà eliminare, senza pietà, in nome di una causa che gli eventi avversi non hanno potuto intaccare, e che ha pervicacemente resistito alla pesante sconfitta militare. Questo film è il ritratto di una macabra e paradossale cocciutaggine, immersa in un luogo e in un tempo che sono infinitamente distanti dal momento storico in cui essa è nata e cresciuta. Helmut è l’intruso venuto dal passato, che non si arrende e cerca di trascinare anche gli altri nella sua anacronistica lotta. È il mostro che indossa una veste amichevole e borghese, come per adattarsi alla moda dell’epoca, ma che dentro non è minimamente cambiato. È l’eroe di un mito che non accetta il proprio tramonto, e che si illude di essere solo temporaneamente nascosto nel buio, in attesa di una nuova conferma della propria immortalità.

 

 Si sedette sul letto, eccitato come un bambino a cui sia stato concesso di passare un altro giorno al parco dei divertimenti. Ma il misero arredamento della stanza lo riportò al suo penoso presente. La pelle sempre più flaccida, ed i muscoli sempre meno elastici erano quelli di un vecchio. Tutta la sua vita era diventata grigia, giorno e notte sempre la stessa routine, fino alla nausea, insieme alla segreta speranza che qualcosa accadesse. Qualcuno gli avrebbe comunicato che finalmente avevano smesso di cercarlo. Aveva dedicato la sua vita alla missione di liberare il mondo dai ratti, e adesso lui stesso era diventato un ratto, misantropo e codardo, all’estremo margine del mondo.    - Non può essere finito tutto così – pensò. (traduzione dal romanzo Wakolda di Lucía Puenzo).   

 

Wakolda è stato selezionato come candidato argentino al Premio Oscar 2014 per il migliore film straniero.

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